Di seguito, l’intervento del sindaco Marco Massari sul Giorno del Ricordo, all’apertura del Consiglio comunale di oggi:
“Questo Comune – ha detto il sindaco – vuole intendere il Giorno del Ricordo, a 20 anni dalla prima celebrazione, come uno dei momenti e delle occasioni importanti di costruzione di una Memoria Civile e condivisa. Memoria civile è la capacità di una comunità (locale, nazionale, transnazionale) di ricordare e riflettere sul proprio passato, in particolare sugli eventi traumatici o significativi che hanno plasmato la sua identità.
Il passato potrà produrre i suoi effetti positivi solo se diventa un processo attivo di interpretazione e rielaborazione storica che coinvolge l’intera società nel Consolidamento dell’identità – la Memoria civile infatti aiuta a definire l’identità di una comunità, rafforzando il senso di appartenenza e coesione sociale -; nella Prevenzione alla ripetizione degli errori, anche tragici, del passato; e nella riconciliazione – tra gruppi che hanno subito conflitti o divisioni nel passato -.
Sulla base di queste premesse il nostro Comune ha compiuto la scelta politica di collocare, da oggi e per i prossimi anni, la celebrazione del Giorno del Ricordo nel quadro strategico e valoriale tracciato dai Presidenti di Italia e Slovenia, Mattarella e Pahor, nel luglio del 2020.
Tutto ciò che faremo intende favorire lo sviluppo e il consolidamento di una Memoria comune utile a rafforzare il processo di costruzione di un’Europa unita, pacifica e pacificata. Partendo dal presupposto sottolineato il 13 luglio 2020 a Basovizza dal nostro Presidente, il quale ammonì che “ricordare con rancore” non è giusto né utile poiché sul rancore non si può costruire Memoria Civile, vorrei citare Franco Cardini, uno dei maggiori intellettuali italiani per onestà e coraggio, uomo che si dichiara fieramente anti-antifascista, il quale ha denunciato il pericolo di immiserire il giorno del ricordo “ad un’assurda contrapposizione tra le vittime della follia nazista e quelle della ferocia dei comunisti sloveni che ha consacrato l’odio e la faziosità anziché metterli entrambi a tacere nel nome di una riconquistata consapevole concordia”.
Uno dei frutti maggiori della strategia proposta dai Presidenti di Italia e Slovenia è il grande lavoro della Commissione paritaria tra storici italiani e sloveni che ha fornito una base di analisi scientifica che ormai non può più essere ignorata se non per negazionismo o a fini di propaganda. Solamente considerando “punti di vista diversi” si possono svelare le dinamiche di un territorio che nell’arco lunghissimo del “secolo breve” ha convissuto con varie appartenenze, nel senso di Stati e governi diversi.
Da questa base di dati e fatti accertati può partire anche la assunzione di responsabilità da parte italiana necessaria per la costruzione di una Memoria condivisa. La ricerca e la difesa della verità storica vanno di pari passo con la difesa dei valori fondanti della nostra democrazia. Credo che noi non possiamo limitare la nostra analisi storica alla macabra contabilità delle vittime italiane e slovene, ma crediamo sia giusto dare conto “della più complessa vicenda del confine orientale”, ovvero di ciò che è accaduto prima delle foibe e dopo la fine della guerra, come recita l’articolo 1 della legge che ha stabilito il Giorno del Ricordo.
Pesano sulla nostra storia:
· la precedente politica nazionalistica ed anti-slava del fascismo per l’italianizzazione forzata dei Balcani che Mussolini preconizzava già nel 1920, e sintetizzava nella frase “Io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”;
· la violenza della occupazione militare italo-tedesca del 1941-1943 e la conseguente menzogna contenuta nel mito “italiani brava gente”, che ci condanna a chiudere occhi, mente e cuore sui crimini di guerra di cui siamo stati responsabili e in alcuni casi addirittura precursori anche nei Balcani;
· l’esodo forzato dalle loro terre dei circa 300.000 istriani, fiumani e dalmati che furono spinti ad abbandonare case, campi e luoghi della propria vita a causa del trattato di pace del 10 febbraio 1947, che assegnava quelle terre al controllo jugoslavo;
· il lungo e ostinato negazionismo che nel Pci censurò la verità sulle foibe, le quali non furono un incidente ma parte integrante di una strategia di terrore e di “sostituzione nazionale” attuata dal regime comunista di Tito, con il progetto di annettere alla nuova Jugoslavia comunista la Dalmazia, l’Istria e Trieste.
In quel lembo del continente tra infoibati e uccisi dai nazisti non vi era famiglia che non piangesse un lutto.
Detto ciò, perché all’incrocio delle due guerre mondiali, e prima e dopo quelle tragedie, la Venezia Giulia ha vissuto un di più di violenza consumata dalle varie parti?
La risposta è in un’altra formula: “nella lotta politica può sempre esserci spazio per i compromessi, in quella nazionale no”.
Il nazionalismo, dunque, finisce con l’essere il migliore concime per disseminare odi e contese destinati prima o poi a deflagrare. E così puntualmente è avvenuto. C’è una bella citazione di Predrag Matvejevič: “L’Atlantico e il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l’Adriatico è il mare dell’intimità”. Ma ci si può odiare nell’intimità? Possono generarsi conflitti di una brutalità difficile anche solo da descrivere in un perimetro che nei secoli ha visto letteralmente mescolarsi lingue, dialetti, religioni, costumi, identità? Purtroppo, la risposta è sì.
Noi perciò ci assumiamo la responsabilità di trarre dall’esperienza dell’orrore e della disumanità le conoscenze e le consapevolezze indispensabili per andare nella direzione del “tutto ricordare e conoscere e del nulla giustificare”.
Il Giorno del Ricordo sarà quindi dedicato, nella sfera pubblica, a riflettere su come queste vicende non ci debbano lasciare indifferenti e sempre uguali a noi stessi.
Se nella Giornata della Memoria abbiamo, per esempio, proposto alla città una riflessione sul concetto di “razza”, che le scienze hanno ormai dimostrato essere una invenzione e una mistificazione, seppure ancor oggi molto diffusa, nel Giorno del Ricordo invitiamo a ragionare sull’odio, che in tutte le sue forme, anche le più banali, avvelena il clima collettivo.
Lo facciamo grazie al contributo di due testimoni che potremo ascoltare oggi pomeriggio alla Biblioteca Panizzi:
· Marij Čuk attuale presidente degli Scrittori Sloveni, giornalista e già caporedattore del telegiornale sloveno della sede regionale della Rai per il Friuli-Venezia Giulia a Trieste;
· Alessandro Mezzena Lona giornalista culturale del Piccolo di Trieste.
Non sono testimoni diretti della bestialità delle foibe, anche se le loro storie familiari conducono a quei fatti.
Sono piuttosto protagonisti di un lungo lavoro di ricostruzione del rispetto reciproco tra le due culture. Racconteranno della fatica e dei successi per reprimere l’odio reciproco e costruire quella fiducia che da più di cent’anni è stata prima minata e poi distrutta dalla combinazione letale di ideologia e nazionalismo. Sono, in definitiva, testimoni del Patto di Basovizza.
Altri testimoni verranno ascoltati nel Giorno del Ricordo i prossimi anni. Raccoglieremo le storie di chi, costretto dalla guerra, dall’oppressione, dalla repressione o anche solo dalla fame, si è trovato a vivere qui. Come suggerito anche stamane dal Presidente Mattarella: “Dobbiamo ascoltare le storie degli altri, mettere in comune le sofferenze, e lavorare insieme per guarire le ferite del passato. Se ci si pone dalla parte delle vittime, dei defraudati, dei perseguitati, la prospettiva cambia, i rancori lasciano il posto alla condivisione e si rende valore al percorso di reciproca comprensione”.