Un nuovo studio appena pubblicato dalla rivista Science fa luce sugli impatti della crisi ecologica avvenuta nel Mar Mediterraneo circa 5,5 milioni di anni fa. Un team internazionale a cui hanno preso parte 25 istituti in tutta Europa, tra cui Unimore con la Prof.ssa Francesca Bosellini, paleontologa e docente del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche, è stato in grado di quantificare l’impatto della salinizzazione del Mediterraneo sul biota marino: solo l’11% delle specie endemiche è sopravvissuto alla crisi e la biodiversità non si è ripresa almeno per altri 1,7 milioni di anni.

I movimenti litosferici nel corso della storia della Terra hanno ripetutamente portato all’isolamento dei mari regionali dagli oceani mondiali e a massicci accumuli di sale. Si tratta di veri e propri “giganti di sale” di migliaia di chilometri cubi ritrovati dai geologi in Europa, Australia, Siberia, Medio Oriente e altrove.

Dopo diversi decenni di ricerche il team ha scoperto che quasi il 67% delle specie marine nel Mar Mediterraneo dopo la crisi erano diverse da quelle pre-crisi. Solo 86 delle 779 specie endemiche (che prima della crisi vivevano esclusivamente nel Mediterraneo) sono sopravvissute all’enorme cambiamento delle condizioni di vita dopo la separazione del Mediterraneo dall’Atlantico.

Il cambiamento nella configurazione dell’attuale stretto di Gibilterra, che portò alla formazione del gigante di sale stesso, provocò brusche fluttuazioni di salinità e temperatura, ma cambiò anche i percorsi migratori degli organismi marini, il flusso di larve e plancton e perturbò i processi centrali dell’ecosistema. A causa di questi cambiamenti, gran parte degli abitanti del Mediterraneo di quel tempo, come i coralli tropicali che costruivano barriere coralline, si estinsero.

Dopo la riconnessione con l’Atlantico e l’invasione di nuove specie, come il grande squalo bianco e i delfini oceanici, la biodiversità marina del Mediterraneo ha presentato un modello nuovo, con il numero di specie in diminuzione da ovest a est, come avviene oggi.

“Il “gigante di sale”, così è stato chiamato uno strato di sale spesso un chilometro situato sotto il Mar Mediterraneo, e l’evento di crisi biotica ed ecologica a questo associato, hanno attirato l’attenzione di geologi e paleontologi da tutto il mondo fin dagli anni ’70 – ha commentato la Prof.ssa Francesca Bosellini di Unimore -.  Per la prima volta un team di 29 scienziati provenienti da 25 centri di ricerca è riuscito a quantificare la perdita di biodiversità nel Mar Mediterraneo a causa di questa crisi e il recupero successivo. Abbiamo studiato i fossili risalenti a tale periodo e abbiamo scoperto che quasi il 67% delle specie marine nel Mediterraneo dopo la crisi era diverso rispetto a quelle precedenti. Solo 86 delle 779 specie endemiche (che vivevano esclusivamente nel Mediterraneo prima della crisi) sopravvissero all’enorme cambiamento delle condizioni di vita dopo la separazione dall’Atlantico. L’impatto della crisi è stato enorme: oltre alla scomparsa di tante specie sono cambiate radicalmente le rotte migratorie degli organismi marini, il flusso di larve e plancton, e sono definitivamente scomparse dal Mediterraneo le scogliere coralline tropicali, da anni studiate presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche di Unimore. Il recupero da questa crisi è stato lento, più di quanto ci si potesse aspettare. Le crisi di biodiversità rappresentano un tema strettamente attuale e comprendere le cause, i meccanismi e i tempi di recupero di quelle del passato ci offre l’unico modo per fare previsioni a lungo termine sul futuro degli ecosistemi attuali”.