Continua fino all’11 dicembre 2021 il Festival del Cinema di Porretta Terme giunto alla sua 20ma edizione. Festival che è tornato in sala, ma senza abbandonare la versione online su Mymovies.it.
Tra gli eventi in programma quello di stasera:
HANDS OF GOD di Riccardo Romani (85’) – sarà presente in sala il regista
Sinossi
Tredici anni di guerra, un attacco bomba ogni due giorni, un solo obiettivo:
diventare campione olimpico. Un gruppo di giovani atleti armati solo di determinazione, è costretto a combattere quotidianamente su due fronti. Da una parte il conflitto per la difesa di Baghdad, dall’altra sul ring inseguendo un sogno. Non è facile sopravvivere sotto la costante minaccia dei terroristi di ISIS, eppure nessuno di questi ragazzi si scoraggia.
Hands of God è il viaggio formidabile della nazionale di boxe irachena, iniziato nella disperazione più assoluta e approdato fino alle soglie di una qualificazione storica.
Riuscirà il soldato Waheed, a conciliare il suo dovere in battaglia col sogno di
arrivare ai Giochi di Rio? Che ne sarà del giovane Jafaar? Sarà in grado di coronare le sue aspirazioni pur vivendo nel quartiere più pericoloso al mondo?
Saadi, la giovane promessa dei pesi massimi, costretto a una missione per liberare Falluja, tornerà vincitore? E infine: il mondo si accorgerà finalmente dell’Iraq? Da Al Sadr City fino a Rio de Janeiro una storia di speranza e redenzione.
ECCO L’INTERVISTA DI ELISA GUIDELLI A RICCARDO ROMANI:
1) Come nasce Hands of God e quanto tempo è servito alla sua realizzazione?
Nasce per caso. A fine 2014 mi trovavo a Baghdad a realizzare un reportage su l’avanzata di ISIS per SkyTG24, quando ho notato un gruppo di ragazzini allenarsi all’aperto. Erano una dozzina, due paia di guanti da spartirsi, un vecchio allenatore e un ragazzetto che tirava cazzotti contro una parete di cemento. Ho chiesto chi fossero e quando l’allenatore mi ha detto che era la nazionale irachena che si allenava per l’Olimpiade, mi sono messo a ridere. Invece era tutto vero. Da lì ho cominciato a seguirli a distanza. Poi di persona e, una volta convinti, abbiamo iniziato a girare in Iraq e nei Paesi dove andavano per provare a qualificarsi, dalla Thailandia fino all’Azerbaijan. Per completare il lavoro ci sono voluti circa tre anni e mezzo.
2) Lo sport è un tema, un veicolo, o una chiave di lettura della realtà?
La boxe è solo una coincidenza. Ne sono appassionato, l’ho anche praticata a livello amatoriale, perciò mi sono incuriosito quel giorno a Baghdad. Nel film lo sport è pretesto per raccontare altro. Aiuta a documentare la vita ordinaria di tanti ragazzi alle prese con eventi a decisioni straordinarie. Madri messe di fronte a dilemmi come quello di lasciar partire un figlio per una guerra senza scampo, oppure opporsi all’Autorità religiosa. Adolescenti come tanti nel mondo che qui invece sono obbligati a decidere se andare in palestra oppure al fronte, armi in pugno, per aiutare le milizie impegnate contro ISIS. Lo sport serve a comprendere con che naturalezza questi ragazzi affrontano sfide quotidiane che a noi sembrano insormontabili.
3) Come ci si imbatte in una storia forte da raccontare? Si va a caccia? Ci si lascia guidare dall’istinto?
Diciamo che considerato il mio stile di vita, sono sempre stato esposto alle storie forti. I miei viaggi nelle zone calde del mondo hanno aiutato. Avendo lavorato tanti anni per le news, prima stampa e poi televisione, forse ho sviluppato una certa sensibilità. Purtroppo il mondo delle news ha deposto ogni ambizione di raccontare storie forti – salve fatte alcune eccezioni. Una volta la direttrice di un canale mi disse. “Basta con queste storie deprimenti. Il pubblico vuole leggerezza”. Così mi sono dedicato ai documentari perché non sono così presuntuoso da sapere cosa vuole il pubblico. Mi basta presentare la storia nella sua versione più autentica possibile. Poi ognuno decide liberamente che opinione farsi. E non è un caso se sempre più persone quando vogliono conoscere i fatti, si affidano più ai documentari e meno ai notiziari.
4) Quali sono i nuovi progetti in lavorazione o in uscita?
Sto lavorando da tre anni assieme ad Alfonso Cuarón alla biografia di un grandissimo e sconosciuto fotografo, Howard Bingham. E’ stato l’amico del cuore e fotografo personale di Muhammad Ali. Dopo la sua morte nel 2016, si è scoperto un archivio segreto di oltre 2 milioni di immagini che riguardano i grandi della storia americana degli anni ’60 e ’70. Da Malcom X a Martin Luther King, poi Bob Kennedy, Michael Jackson, Mandela… Un tesoro. Abbiamo finito di spulciare gli archivi, spero di iniziare a girare nel 2022. In Italia ho acquisito i diritti per raccontare la vita di uno dei gangster di casa nostra più temuti di sempre. Non posso dire molto, se non che è un personaggio che per la prima volta racconterà in prima persona la sua storia tragica ma anche affascinante.
Riccardo Romani. Scrittore e fotogiornalista con 25 anni di esperienza, ha pubblicato i suoi reportage in tutto il mondo. Nel 2014 il suo libro “Le cose brutte non esistono” ha ricevuto il “John Fante Special Award” come opera prima. E’ stato corrispondente da New York, Afghanistan, Londra per Sky per cui ha diretto svariati documentari per la tv. Dal 2006 collabora con Alfonso Cuarón, ( The Possibility of Hope, documentario parte di Children of Men). Nel 2015 ha fondato RobustoFilms. Con Cuarón sta lavorando a Bingham, la storia inedita del fotografo personale di Muhammad Ali.
(Elisa Guidelli)