Costo del lavoro, oneri fiscali e mancata ripresa dei consumi sono le cause che maggiormente penalizzano imprese artigiane e pmi. Per rilanciare la competitività delle imprese e ridare slancio ai consumi, il Governo si propone di tagliare di 5 punti il così detto cuneo fiscale; in pratica la differenza tra costo del lavoratore per l’azienda e l’importo netto che il lavoratore riceve in busta paga.

Oggi l’incidenza del cuneo è elevata (attorno al 42%); una sua riduzione può portare benefici reali? In attesa della presentazione del provvedimento da parte del Governo, la CNA dell’Emilia Romagna ha sondato le opinioni di un campione di imprenditori associati.
Quanto considerano fattibile questo provvedimento? Quanto lo ritengono efficace per far recuperare competitività alle loro imprese? Attraverso quali misure il Governo dovrebbe recuperare le risorse necessarie, stimate in 10 miliardi di euro, vista la situazione disastrosa dei conti pubblici?

Gli imprenditori intervistati non hanno dubbi. “Dal sondaggio – ha spiegato il presidente della CNA Emilia Romagna, Quinto Galassi nel corso della conferenza che ne ha presentato i risultati alla stampa – è infatti emerso che il taglio del cuneo fiscale non risolverà i problemi che stanno alla base della ridotta competitività della nostra economia; perché ciò accada servono interventi radicali, fino ad oggi rimasti inattuati. Ben venga tuttavia, un provvedimento che si propone di ridurre, anche se parzialmente, gli oneri contributivi a carico di aziende e lavoratori, portando vantaggi ad entrambi”.


Idee chiare anche su come dovrebbe caratterizzarsi la misura del Governo, Gli imprenditori intervistati in sintesi hanno detto: “Non va attuato alcun intervento selettivo; il taglio deve avvenire per tutte le imprese e per tutti i redditi da lavoro dipendente; deve essere fatto in una sola volta e in tempi brevissimi. Perché la riduzione sia effettiva, si deve prevedere una riduzione limitata degli oneri contributivi impropri e si deve poter utilizzare anche l’IRAP, con l’esclusione del costo del lavoro dalla sua base imponibile. Vista la gravità del disavanzo pubblico, le risorse vanno recuperare attraverso una dura lotta all’evasione, ma anche attraverso la tassazione delle grandi fortune e delle rendite”.



Il taglio del cuneo fiscale può rilanciare competitività e dare una spinta ai consumi. L’abbattimento di una quota significativa del cuneo è percepita dalla quasi totalità degli intervistati sia come una misura ineludibile, sia come un provvedimento efficace almeno nel breve periodo per contribuire a ridare competitività all’economia (85%), sia per ridare slancio ai consumi (74%). Tra le imprese che operano solo sul mercato nazionale, e che quindi più risentono della debolezza della domanda interna, le aspettative sull’efficacia del taglio per una ripresa dei consumi crescono ulteriormente, arrivando al 90%, mentre tra coloro che esportano e che più intensamente avvertono la competizione internazionale, si ritiene che la riduzione del cuneo possa avere ripercussioni positive sulla competitività della propria impresa (92,9%).



Il provvedimento va applicato a tutti indistintamente. Per la maggioranza degli intervistati non deve esserci nessuna selezione tra le imprese e tra i lavoratori. Se l’obiettivo della riduzione del costo del lavoro è quella di dare una sferzata per incentivare il sistema produttivo, scegliere a quali imprese dare una possibilità e a quali no, non ha alcuna motivazione: tutte le imprese debbono poterne beneficiare. Nessuna selezione neanche tra i lavoratori in base alle tipologie contrattuali o alle fasce di reddito, anche se tra gli imprenditori del settore manifatturiero, prevale l’opinione di privilegiare i redditi da lavoro più bassi. Su come dovrebbero essere ripartiti i benefici derivanti dal taglio di 5 punti del cuneo tra imprese e lavoratori, la grande maggioranza degli intervistati opta per un 55% all’impresa ed un 45% ai dipendenti.



Come intervenire per ridurre effettivamente a tutte le imprese il costo del lavoro. Nella percezione di gran parte degli imprenditori intervistati, le conseguenze che il taglio del cuneo fiscale potrebbe avere sulla parte dei contributi destinato al calcolo della pensione che andranno a maturare, sembrano avere un’urgenza inferiore rispetto all’esigenza di provvedimenti che aiutino l’economia italiana ad uscire dalla stagnazione che l’affligge ormai da alcuni anni. La necessità più immediata appare, infatti, quella di far ripartire i consumi e la macchina dell’economia. In ogni caso oltre il 60% degli imprenditori si mostra orientato, sia per gli effetti più contenuti sui trattamenti pensionistici che per un effettivo taglio del costo del lavoro, verso un intervento che elimini ad esempio la contribuzione su straordinario e superminimi aziendali e sul secondo livello di contrattazione e sterilizzi l’IRAP (riconoscendo la deducibilità della componente del costo del lavoro dalla base imponibile dell’IRAP che da sola ridurrebbe il cuneo fiscale di 4 punti).



Lotta all’ evasione, imposte su rendite e grandi fortune per reperire le risorse. Tre le strade che gli intervistati indicano per recuperare il costo che deriverà dal taglio del cuneo fiscale: lotta all’evasione fiscale e al lavoro nero che danneggiano Erario ed imprese (82,7%), aumento della tassazione sulle rendite finanziarie (55,8%), una imposta sulle grandi fortune (47,1%). “C’è un problema finanziario di far quadrare i conti dello Stato, ma anche di etica dell’attività economica – dicono gli imprenditori – e fanno alcuni esempi: occorre far cessare le frodi fiscali, i meccanismi attraverso i quali le società di capitali ottengono rimborsi IVA per operazioni inventate, le frodi comunitarie. Significativa anche l’indicazione per un incremento dell’imposizione sulle rendite finanziarie, tassazione che interessa tutti; chi infatti non possiede titoli di Stato, conti correnti o obbligazioni? “Eliminare le storture – ha sottolineato Galassi – non significa addivenire ad una aliquota unica per tassare ad esempio i Bot (oggi al 12,5%) e gli interessi attivi di conto corrente (oggi al 27%); ma come anche alcuni intervistati suggeriscono, prevedere aliquote differenziate che possono benissimo coesistere; quello che non può più essere accettato è che la legge consenta di non dichiarare milioni di euro come avvenuto per esempio con l’introduzione del meccanismo della così detta “partecipation exemption” in base al quale non si tassano le plusvalenze derivanti dalla cessione di titoli posseduti ininterrottamente da almeno un anno”. Significativo per il presidente CNA anche il consenso espresso per una tassa sui grandi patrimoni. “In questo senso gli imprenditori intervistati evidenziano una questione di equità e si allineano con quanto avviene in tutti i Paesi occidentali”.