Tullia-Bevilacqua-2Ancora troppe donne vengono licenziate perché incinte nel nostro Paese. Le statistiche, fornite dall’Osservatorio Nazionale Mobbing – sono impietose. In media, le denunce sono 500mila ogni anno, con l’età media delle vittime compresa fra 25 e 35 anni. Ma soltanto una minima parte di donne discriminate negli ambienti di lavoro porta a termine la denuncia verso i datori di lavoro , più spesso l’azione legale viene ritirata senza avere neppure raggiunto un adeguato compromesso economico, con le lavoratrici che subiscono in silenzio ed , esasperate e avvilite, abbandonano l’impiego.

“Solitamente la lavoratrice, dopo aver avviato una causa al Tribunale del Lavoro , piegata da quella che spesso diventa un’autentica guerra psicologica, rassegna le dimissioni. In Italia il mobbing sta diventando sempre più un fenomeno comune, accentuato anche dalla crisi economica e dalla crescente disoccupazione che colpisce soprattutto donne e giovani che diventano fardelli sempre più pesanti per quei lavoratori costretti a subire soprusi per paura di perdere il posto di lavoro”: commenta Tullia Bevilacqua , segretario generale Ugl Emilia-Romagna.

Nei cinque anni dal 2010 al 2015 in Italia i casi di mobbing da maternità sono aumentati del 30%. Solo nell’ultimo biennio sono state licenziate o costrette a dimettersi 800mila donne e sono almeno 350mila sono quelle discriminate per via della maternità o per aver avanzato richieste per conciliare il lavoro con la vita familiare.

Quattro madri su 10 vengono costrette a dare le dimissioni per effetto di “mobbing post partum”. Con un’incidenza superiore nelle regioni del Sud (21%), del Nord Ovest (20%) e del Nord Est (18%) e una situazione più allarmante soprattutto nelle metropoli come Milano, Torino e Bologna , città maglia nera a livello nazionale.

Le donne con figli hanno un tasso di occupazione di 14 punti inferiore rispetto a quelle senza figli. Mentre molte di loro (circa il 14%) tendono ad abbandonare il lavoro entro il primo anno di vita del bambino.

E la situazione non cambia anche nell’ultimo periodo: negli ultimi due anni però sono aumentate i del 20% le segnalazioni di persecuzioni sul luogo di lavoro subite dalle donne incinte, dagli omosessuali e dai dipendenti assunti con il Jobs act, la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi. Molte, troppe, persone hanno ancora paura di denunciare le discriminazioni.

E secondo le stime viene alla luce solo il 10-20 per cento dei casi, mentre le denunce sono non più del 5-10%.

“Ma il fenomeno è molto più grande, dal momento che molto spesso il lavoratore non si rende neanche conto che quelle pratiche, ormai accettate da tempo come comportamenti normali legati al suo lavoro (svolgimento di compiti degradanti, cambio di orario che crea difficoltà nella gestione del figlio e della vita familiare e via dicendo) , in realtà rientrino in vere e proprie strategie di discriminazione e de-mansionamento che non consento di progredire in carriera rispetto ad altri nelle stesse condizioni– aggiunge Tullia Bevilacqua -. E perseguire i responsabili non è per niente facile , perché manca ancora una legge specifica sul mobbing e la riforma del mercato del lavoro che protegge le madri dal licenziamento durante la maternità tiene scoperto il pericolo di ‘mobbing da rientro’, il nemico più temuto dalla neo mamma. Inoltre il fenomeno è difficile da far rientrare nelle statistiche ufficiali dei licenziamenti perché spesso il comportamento del datore di lavoro ma anche, purtroppo, di alcuni colleghi comporta l’isolamento della lavoratrice che si conclude con le dimissioni per sfinimento” .

Su scala europea ogni anno in media più di dieci milioni di persone sono state sottoposte ad angherie e vessazioni sul posto di lavoro, per almeno 12 mesi. Circa il 10% della popolazione lavorativa dei paesi del nord Europa vittime di mobbing.

E nel nostro Paese le cose non vanno meglio se si pensa che, nonostante la maggiore sensibilità sull’argomento, i mobbizzati sono il 5% della popolazione, cioè circa un milione e mezzo. Da segnalare che mobbing e bossing siano esercitati, secondo i dati del Ministero degli Interni, maggiormente in ambito del Pubblico Impiego che tra i dipendenti privati.

“Segno che anche apparati statali ed enti pubblici non sono immuni da questo problema. Come sindacato siamo in prima linea da sempre contro ogni discriminazione e invitiamo chiunque si setnta sottposto a vessazioni sul posto di lavoro a rivolgersi all’Ugl per ottenere chiarimenti su tale fenomeno che il più delle volte, come abbiamo visto, non viene manifestato per timore delle possibili reazioni o ritorsioni del datore di lavoro o dei colleghi”: conclude il segretario generale Ugl Emilia-Romagna Tullia Bevilacqua.