“Importante incentivare i progetti lavorativi a favore dei detenuti” è l’invito che il Consigliere Andrea Pollastri (PdL) ha rivolto alla Giunta Regionale con un’interrogazione.

Le cooperative sociali che operano presso gli istituti di pena italiani, infatti, hanno svolto una ricerca da cui risulta che un detenuto che ha scontato la pena in carcere, una volta libero, ritorna a delinquere nel 68,4% dei casi. Se invece del carcere ha avuto pene alternative la percentuale scende al 19%, mentre è solo dell’ 1% per chi ha avuto un inserimento lavorativo.

Anche Don Virginio Balducchi, responsabile dei Cappellani carcerari, in una recente intervista, ha confermato i risultati della ricerca: “Il continuo rientrare in carcere delle stesse persone – ha detto – si deve al fatto che spesso costoro non hanno gli strumenti per potersi gestire la vita al di là dell’illegalità o del disagio. Questo ci fa dire che la pena dovrebbe essere gestita molto più sul territorio che non nelle case di reclusione”.

“Insomma – ha spiegato Pollastri – è evidente che laddove sono nati percorsi alternativi al carcere che hanno saputo responsabilizzare e dare un senso di utilità al condannato, si è evitato che quest’ultimo ricadesse nel tunnel dell’illegalità. Questo è indubbiamente un vantaggio per la dignità della persona, che guadagna indipendenza e responsabilità ed evita di passare da una detenzione all’altra, ma anche per la società in generale, che vede ridursi il rischio insicurezza, ma anche i costi della finanza pubblica poiché un carcerato costa alla collettività 190 euro al giorno, ossia 70 mila euro all’anno”.

Il Consigliere ha anche citato alcuni esempi di interventi innovativi in atto presso alcune case circondariali: da diversi anni a Milano e Bergamo vi sono iniziative per l’inclusione sociale ed al coinvolgimento lavorativo dei reclusi, mentre a Roma essi vengono impiegati per ripulire siti archeologici e giardini pubblici. A Trieste, poi, è stato sviluppato un progetto mirante a sostenere la genitorialità, con cui, tramite videoconferenza, i detenuti possono dialogare con gli insegnanti dei figli.

“L’esperienza di numerosi Comuni che intendevano utilizzare a fini sociali o lavorativi i detenuti – ha proseguito – si è, però, scontrata con l’impossibilità di farlo a causa degli elevati costi e dei problemi di tipo logistico (trasporto, sorveglianza, ecc.)”.

“Chiedo alla Giunta – ha chiosato l’azzurro – se si ritenga utile favorire la diffusione di progetti lavorativi per i detenuti, quali azioni, magari legate a percorsi formativi, si intenda porre in essere per renderli fattibili e cosa si intenda fare per aiutare i Comuni, le Associazioni e gli istituti di pena ad attuare le attività da essi promosse”.