Riforma del mercato del lavoro e “manutenzione “dell’articolo 18. Lotta alla pratica (odiosa) delle dimissioni in bianco. Soluzioni per lo sviluppo. Sono alcuni dei temi affrontati in un affollatissimo Consiglio generale Cisl Reggio Emilia che, per l’occasione, ha visto la partecipazione di Patrizio Bianchi, assessore regionale alle Scuola, formazione professionale, università e ricerca, lavoro, Giorgio Santini, segretario nazionale aggiunto della Cisl, coordinati da Giorgio Graziani, segretario generale Cisl Emilia Romagna.
La crisi a Reggio Emilia e le proposte della Cisl reggiana
“Appare più che mai evidente che in questa fase di grandi cambiamenti si rende necessario riformare anche il mercato del lavoro – ha introdotto Margherita Salvioli Mariani, segretaria della Cisl di Reggio Emilia – visto che solo il lavoro e l’occupazione (una buona occupazione) possono farci risalire da una situazione di crisi che appare stagnate, per un nuovo modello di crescita, intelligente, sostenibile ed esclusiva. Discutere oggi di riforma del lavoro può rappresentare un rischio, se si gioca al ribasso, ma opportunità se diventa l’occasione per rivedere e controbattere i meccanismi che hanno generato la crisi. All’interno di un sano concetto di sostenibilità e produttività è possibile rimettere la persona al centro del lavoro per attualizzare la Costituzione a partire dall’articolo 4 per il quale ‘ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società’. Questa è la vera e propria sfida culturale per il futuro”.
“A Reggio Emilia – ha ricordato la segretaria – da gennaio è tornata a crescere la cassa integrazione straordinaria, fenomeno indicatore tipico di aziende in crisi, mentre è diminuita quella ordinaria. Significa che siamo ancora in una fase di crisi acuta, con riflessi dal punto vista sociale. Nella nostra provincia tra il 2010 e il 2011 vi sono stati circa 300 sfratti, con un aumento del 119% rispetto all’anno precedente, mentre aumentano significativamente pignoramenti per mutui non pagati. Ci sono 3000 persone che, con la riforma della normativa sui pensionamenti, si ritrovano ora senza lavoro e distanti dalla pensione”.
“Il mercato del lavoro si riforma: quale lavoro per quale crescita?”
Ed ecco il tema all’ordine del giorno in queste ore tra governo, parti sociali e industrie, l’articolo 18. “Dinnanzi al governo che è per la sua cancellazione e alla Cgil che è per la sua immutabilità noi, invece, proponiamo una ‘manutenzione’ di questo strumento e ci opponiamo al suo smantellamento – ha spiegato il segretario nazionale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini, che ha parlato anche di ammortizzatori sociali, cassa in deroga e razionalizzazione del sistema della cassa integrazione da “estendere anche alle piccole e medie imprese con una contribuzione apposita, e della necessità di mantenere l’indennità di mobilità (12 mesi sino a 40, 24 sino a 50, 36 oltre 50 anni) che tuteli i lavoratori espulsi dal mondo del lavoro per almeno due anni, come il modello europeo”.
“In merito all’articolo 18 – ha proseguito il sindacalista – siamo per ‘manuntenerlo’ nella sua funzione originaria: per tutelare i dipendenti dalle discriminazioni e dagli abusi da parte dei datori di lavoro, soprattutto per quel che riguarda il loro comportamento soggettivo. Invece, per quel che riguarda i licenziamenti per giustificati motivi di tipo oggettivo, come il fatto che l’azienda si trovi in difficoltà e senza la possibilità di offrire più un lavoro, riteniamo che si debba utilizzare la legge 223/1991, che prevede una precisa procedura con la convocazione dei sindacati da parte dell’azienda, la verifica dell’effettiva sussistenza delle difficoltà economiche e l’erogazione di un’indennità di mobilità però finalizzata ad accompagnare il lavoratore verso formazione e reimpiego”.
Ricorsi contro i licenziamenti ex articolo 18: cause che spesso durano molti anni.
“Sì, questa è un’altra distorsione che intendiamo sanare. Oggi, infatti, se una causa dura 5 anni e se il datore di lavoro perde, oltre alla reintegra (o alle 15 mensilità che l’ex dipendente può chiedere in sostituzione), deve versare 5 annualità di stipendio al lavoratore. Non c’è quindi nessuna proporzione tra la pena “fisiologica” e quella che si determina per il ritardo del processo. Motivo per cui in molti insistono sull’abolizione dell’articolo 18. Per questo chiediamo che i processi relativi ai licenziamenti abbiano una durata ragionevole, che potrebbe essere fissata in un anno. Abbiamo individuato come strumento per questo intervento il ricorso alla procedura d’urgenza prevista dall’articolo 700 del codice di procedura civile”.
“Un lavoro intelligente e più stabile per i lavoratori”
Finanza, crisi, operazioni a sostegno dell’economia, perdita di lavoro… un circolo vizioso?
“Sì – ha affermato Patrizio Bianchi, assessore regionale al lavoro – è il momento che si parli di crescita culturale delle persone e delle famiglie e non più della finanza. E occorre un lavoro che abbia un senso per le persone e per il Paese. L’Italia è il Paese che cresce meno in Europa: perché la parte che cresce (export) è molto piccola per poter trainare l’economia, di qui la necessità di sapere competere. Le imprese che crescono sono quelle che mettono nell’azienda intelligenza e, contemporaneamente, fanno crescere i diritti. Invece, rendere precario il lavoro per abbattere i costi significa avere produzioni a bassa intelligenza. Al contrario per la ripresa dell’economia occorre stabilizzare i lavori. Dieci anni di ‘iperfinanziarizzazione’ dell’economia e precarizzazione del lavoro hanno creato una crisi del lavoro che durerà più a lungo. E’ giunto il momento di investire sulle persone. Per questo la Regione ha attivato un tavolo di confronto che mette a disposizione risorse economiche per raggiungere l’obiettivo”.
Non ultimo il Consiglio generale della Cisl di Reggio Emilia ha votato all’unanimità un ordine del giorno per attuare ogni iniziativa utile che si impegni concretamente a un intervento legislativo urgente ed efficace contro le dimissioni in bianco. Si stima, infatti, che la prassi di raccogliere contestualmente all’assunzione la presunta volontà “in bianco” di dimettersi da parte della lavoratrice o del lavoratore in Italia riguardi circa 2 milioni di persone, di cui il 40% donne, una misura sempre più utilizzata anche nei confronti degli stranieri.