La vicenda di Pomigliano dovrebbe essere affrontata con maggiore interesse ed attenzione da tutto il centrosinistra oltre che dal mondo sindacale. Al di fuori di ogni retorica credo che ad essere in gioco sia davvero l’interesse generale della società, non solo del mondo del lavoro (e di quello operaio in particolare).
Questo in conseguenza del fatto che l’affermazione o la negazione di diritti fondamentali sanciti costituzionalmente, come ad esempio il diritto di sciopero, investe il terreno della democrazia sostanziale, rappresentando così uno degli elementi che contraddistinguono l’avanzamento o l’arretramento di una intera società. La direzione intrapresa da questo movimento risulta essere oggi di fondamentale importanza poiché delinea un percorso di attraversamento e di reazione alla crisi economica.
Credo che la strategia del Governo e della Fiat sia lampante: comprimere diritti e salari allontanando sempre più il nostro paese dagli standard dell’Europa continentale e del nord. Del resto, uno studio dell’Ocse datato dicembre 2008, evidenzia come in Italia sia in atto un ciclo vizioso di bassa crescita, forte disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e scarsa mobilità sociale. Contrapporre quindi il lavoro ai diritti equivale a negare la natura stessa della nostra Costituzione che pone il lavoro a fondamento della Repubblica. Nelle parole dell’amministratore delegato della Fiat, così come di autorevoli ministri, vi è tutta la debolezza dell’élite economica e politica del nostro paese nell’affrontare la crisi.
Vorrei in particolare sottolineare le richieste della Fiat sul mancato pagamento dei primi tre giorni di malattia e sulla limitazione del diritto di sciopero quali elementi politici e simbolici che nulla hanno a che vedere con una più efficiente organizzazione dell’attività produttiva e che, invece, molto hanno a che vedere con un esperimento politico e sociale che si vuole condurre in un momento di grave difficoltà per il paese. Derogare ai contratti collettivi nazionali e farlo sotto la minaccia della delocalizzazione delle attività produttive equivale a decretare la fine del diritto in ambito lavorativo e non solo.
Una democrazia non può accettare che vengano assunte decisioni che riguardano la collettività in un costante stato di eccezione, dove l’emergenza giustifica il ricorso alla straordinarietà e alla deroga rispetto alla norma. Se a questo aggiungiamo la politica economica e fiscale del governo che mira a consolidare i grandi poteri e patrimoni finanziari e, contemporaneamente, ad abbattere lo stato sociale tramite la scure dei tagli agli Enti Locali il quadro diviene esplosivo. Per questa ragione manifesto tutta la mia solidarietà alla Fiom e ai lavoratori di Pomigliano che si oppongono al ricatto dalla Fiat.
Sarò inoltre in piazza il 25 giugno a fianco della Cgil per ribadire la centralità del lavoro all’interno del nostro ordinamento e per dire no alla manovra del Governo che vuole provocare una crisi fiscale degli Enti Locali al fine di abbattere il nostro sistema di Welfare. Credo che questa debba essere, anche per gli amministratori locali, una fase di dura opposizione al Governo e alle sue scellerate decisioni in tema di politica economica e sociale. Dobbiamo fare tutto il possibile affinché i contenuti della manovra cambino nel corso dell’iter parlamentare, rifiutando quindi ogni logica di ridimensionamento del sistema di protezione sociale in essere. I servizi sociali ed educativi dovranno sempre più divenire per il centrosinistra elementi identitari e simbolici, in contrapposizione alla visione antisociale e privatistica del centrodestra; anche in questo modo si rafforza il senso di appartenenza ad una comunità e la condivisione di un futuro sicuro per tutti.
(Matteo Sassi, Assessore Politiche sociali, Lavoro e Salute)