Benvenuti cari cittadini e cittadine, autorità civili, militari e religiose.

Come avviene in tante altre piazze e come accadrà oggi pomeriggio a casa cervi vi invito ad un minuto di silenzio in memoria di papa Francesco, che ci ha ricordato senza sosta che ogni volta che viene calpestata la dignità di un uomo, lì inizia una battaglia da combattere.

Oggi festeggiamo gli 80 anni della Liberazione dal nazifascismo, la fine della dittatura, la fine della guerra e la ritrovata libertà.

80 anni fa migliaia di reggiani festeggiavano la cacciata dei nazisti e dei fascisti dalla città e accoglievano già dal pomeriggio del 24 i partigiani e poi le truppe alleate.

Quando diciamo 25 Aprile associamo istintivamente questa data ad una festa, a un’aria di felicità primaverile, al ritorno di balli in piazza, al riprendere della vita dopo il lungo buio della guerra. E’ giusto e bello.

Eppure non dobbiamo dimenticare che 80 anni fa, proprio il 25 aprile, in questa stessa piazza, cecchini fascisti sparavano ancora sulla folla…

In quei giorni furono decine i partigiani e le partigiane caduti a un passo dalla fine della guerra, ad un passo dalla libertà. Come la staffetta domenica Mimma Montanari, caduta a 21 anni, sul ponte di san pellegrino mentre cercava di avvisare i partigiani che scendevano dalla montagna, di un imminente agguato dei tedeschi.

Possiamo vederli laggiù a fianco del teatro municipale, nel sacrario che li ricorda, i volti degli oltre seicento reggiani, quasi tutti giovanissimi, caduti per mano dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani, durante la lotta di liberazione.

Ogni anno ci ritroviamo in questa piazza per ricordare quegli uomini e quelle donne, per riaffermare gli ideali per cui si sacrificarono, i valori della resistenza.

La festa del 25 Aprile non è retorica, non è un cascame del passato come qualcuno continua ad affermare, ma serve a ricordare  ogni anno tutte le ragioni che stanno a fondamento della sua celebrazione: è dalla Liberazione dal nazifascismo che originano sia la Repubblica parlamentare democratica sia la Costituzione.

Di cosa parliamo, quando parliamo dei valori della Resistenza?

Parliamo del rifiuto della guerra come espressione del dominio nazionalista; parliamo del diritto di ognuno all’esercizio di libertà individuali e collettive, parliamo di giustizia sociale: parliamo cioè dei valori scritti nella nostra costituzione.

Non bisogna mai dimenticare che se l’Italia, a differenza delle altre nazioni sconfitte nella seconda guerra mondiale, ha potuto darsi da sé un proprio nuovo ordinamento, lo si deve alla resistenza.

Grazie alla resistenza e all’antifascismo, poco più di un anno dopo la liberazione, il 2 giugno 1946, si tennero le prime elezioni; e  nel gennaio 1948,  venne adottata la nostra Costituzione.

I giovani protagonisti della resistenza, prima di tutto, combattevano contro la guerra: sapevano che per avere la pace, bisognava sconfiggere il fascismo, perché il fascismo è sinonimo di violenza e di guerra. Il fascismo ha bisogno della guerra perché ha bisogno di un nemico su cui affermarsi, quindi ha cominciato attaccando le organizzazioni del movimento operaio e contadino, ha continuato in libia, in Spagna a fianco del generale Francisco Franco contro la repubblica spagnola, in etiopia con i gas tossici e ha fatto guerra ai propri cittadini, adottando le leggi razziali.

E da ultimo il fascismo, con la repubblica di salò, ha fatto guerra all’Italia stessa con un esercito fantoccio della Germania nazista: forse la pagina più nera della sua nera storia.

I giovani che hanno dato vita alla resistenza non avevano esperienza diretta della democrazia, neppure di quella un po’ monca e fragile uscita dall’unità d’Italia.

Avevano però esperienza diretta del regime fascista, della mancanza di libertà di pensiero e di parola.

Avevano la memoria dei fratelli maggiori o dei padri, arrestati a centinaia nella nostra provincia, per attività antifasciste clandestine e condannati dai tribunali speciali del fascismo al carcere e al confino.

E avevano, molti di questi giovani, la memoria lunga delle famiglie, che avevano costruito le leghe contadine, le cooperative, le amministrazioni socialiste e che se le erano viste portare via dalla violenza fascista.

Ecco come nasce la democrazia disegnata dalla nostra Costituzione, una democrazia rappresentativa e articolata, connotata da diversi valori politici e sociali espressione delle forze resistenti.

Una democrazia che nasce sì dal popolo attraverso il voto, ma che è garantita dalla separazione e dall’articolazione dei poteri dello stato.

La democrazia non ha mai significato, per i costituenti,  l’elezione di un capo che potesse ritenersi al di sopra degli altri poteri dello stato e che potesse rifiutare il controllo di legalità sui propri atti in virtù dell’investitura del voto popolare.

E’ innegabile che la democrazia è sotto attacco negli stati uniti come in Europa, si delineano forme di autocrazia dove accanto all’autocrate fioriscono gli oligarchi, siano essi petrolieri russi o industriali magnati dell’hi-tech americano: è l’eccesso di potere della ricchezza che considera il mondo solo un terreno da conquistare o un mercato da sfruttare.

L’altra immensa eredità della lotta di liberazione la ritroviamo nel rifiuto della guerra, primo valore della resistenza.

Sta scritto a chiare lettere nell’articolo 11 della nostra costituzione. “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Per questo, in quell’Europa  teatro di ben due guerre mondiali,  gli antifascisti al confino scrissero il manifesto di Ventotene, testo ispiratore dell’unità europea. Questo testo descrive bene come l’unità europea sia necessaria per  superare i nazionalismi che hanno originato le guerre.

La guerra, le guerre, che sembravano domate dopo le tragedie del secondo conflitto mondiale, si è ripresa la scena relegando la pace in un angolo remoto.

Sembra che debba tornare a valere solo il diritto del più forte, dove la forza è la forza delle armi e quella del denaro.

Vediamo che l’Onu e le altre organizzazioni internazionali sono ignorate, quando non apertamente dileggiate, il diritto dei potenti non tiene in alcun conto i deboli e le minoranze.

Su queste basi non ci potrà essere giustizia e pace né per l’ucraina, dove si continua a morire sotto le bombe russe, né a Gaza, dove si muore sotto le bombe israeliane per scelte di un governo  che l’orrore dell’attacco di Hamas del 7 ottobre non può giustificare.

Fino all’ultimo giorno Papa Francesco non si è stancato di dire che ci vuole la pace, e che per avere la pace non servono le armi, ma risorse per aiutare chi ha bisogno, combattere la fame e promuovere lo sviluppo.

E l’Europa deve costruire un proprio ruolo per favorire il dialogo multilaterale nel mondo, non può essere il riarmo delle singole nazioni l’unica risposta alle crisi mondiali.

Per cui, ditemi, cosa c’è di obsoleto, cosa di vecchio, cosa di sbagliato o retorico nel celebrare i valori di libertà e democrazia di cui stiamo parlando in questo 80° anniversario?

Celebriamo sì la memoria, ma contemporaneamente trasmettiamo e ridefiniamo i valori portanti dell’amor di patria, della giustizia sociale, della libertà e della partecipazione ad un sentire comune e condiviso. Coloro che non ritengono di dover festeggiare il 25 Aprile si esprimono indirettamente contro la libertà degli altri e i valori che ne conseguono.

Vorrei ricordare in questo 25 aprile  anche il sacrificio di tante famiglie, che per quella liberazione rinunciarono agli affetti più cari. Oggi pomeriggio saremo a casa cervi, come ogni anno, simbolo universale di un sacrificio senza eguali.

Insieme a noi ci sarà Adelmo Cervi, figlio di Aldo, fucilato insieme ai suoi fratelli. Questa mattina Adelmo è a Bologna ma mi ha pregato di salutare i tanti amici e compagni a nome suo e ricordare che è solo con l’impegno antifascista che si possono sconfiggere i venti di destra che soffiano ovunque nel mondo. Il suo invito è quello a riempire le piazze e di farsi sentire.

Come quattro settimane fa quando questa piazza e le strade della città si sono riempite, come oggi, per una grande mobilitazione antifascista.

E’ successo che gruppi neofascisti avevano convocato una manifestazione con il ridicolo e paradossale slogan “Riprendiamoci Reggio”. Erano forse 150 o 200, venuti in gran parte da fuori città.

Qualcuno ci ha chiesto, e noi stessi ce lo siamo domandato, se valesse la pena promuovere tanta mobilitazione per 150 sciagurati … beh, le migliaia di persone che hanno percorso pacificamente le vie della città, ci hanno detto di sì. Erano lì per una semplice questione di civiltà.

La Reggio democratica che ogni giorno si impegna per aiutare chi è in difficoltà, la Reggio delle associazioni di volontariato, dei centri sociali,  delle cooperative, dei sindacati, dei partiti e delle istituzioni, la Reggio dei nidi e delle scuole dell’infanzia, di Carlina Rinaldi, che abbiamo salutato pochi giorni fa, e delle tante e dei tanti che hanno costruito servizi di educazione, accoglienza e pace …

… questa Reggio non vuole quei fascisti.

Per questo io voglio dire con forza a tutti voi, a tutti noi, che il 25 Aprile è una festa di tanti, ma «non di tutti».

Il 25 Aprile è la festa di chi continua a pensare che essere italiani significa essere antifascisti.

Il 25 Aprile è la festa di chi si riconosce nella Repubblica e nella Costituzione

Il 25 Aprile è storia e futuro, è identità collettiva, è bene comune.

Buon 80esimo compleanno alla nostra Liberazione.

Antifascisti allora, antifascisti sempre.

Viva il 25 aprile, viva la Resistenza, viva l’Italia