Presso il Policlinico di Modena è stato eseguito recentemente un autotrapianto di tessuto ovarico su una paziente di 36 anni, a distanza di 14 anni dalla crioconservazione. L’intervento rappresenta una tappa importante per la medicina della riproduzione e un segnale di speranza per molte giovani donne colpite da patologie oncologiche in età fertile.

La paziente, modenese, aveva ricevuto nel 2011 una diagnosi di tumore che rendeva necessaria la chemioterapia. Poiché alcuni protocolli oncologici possono danneggiare in modo permanente la funzione ovarica, i Ginecologi del Policlinico le proposero allora di crioconservare il proprio tessuto ovarico, prima dell’inizio delle cure. La giovane accettò, affidandosi all’équipe guidata dal Professor Antonio La Marca, oggi Direttore della Ginecologia e Ostetricia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena.

La chemioterapia portò alla guarigione della malattia, ma come previsto causò l’insorgenza di una menopausa precoce, con perdita definitiva della funzione ovarica e impossibilità di concepire. Nel 2024, desiderosa di avere un figlio, la donna si è rivolta nuovamente al Policlinico di Modena. I medici hanno così pianificato il reimpianto del tessuto ovarico prelevato e congelato oltre un decennio prima.

L’intervento è stato eseguito con tecnica mininvasiva in laparoscopia. L’obiettivo è duplice: ripristinare l’attività ovarica endocrina, cioè la produzione ormonale naturale, e consentire una futura gravidanza, anche con concepimento spontaneo.

«Il reimpianto del tessuto ovarico è una tecnica avanzata che permette di restituire alle pazienti la possibilità di una vita riproduttiva attiva dopo una malattia oncologica – afferma il Professor Antonio La Marcail caso che abbiamo trattato dimostra che il tessuto ovarico può mantenere la sua vitalità anche dopo 14 anni di congelamento. È fondamentale che le giovani pazienti oncologiche vengano informate di questa possibilità prima dell’inizio dei trattamenti: significa offrire loro non solo una cura efficace contro la malattia, ma anche un futuro come donne fertili».

L’evento rappresenta un passo significativo anche per l’Emilia-Romagna, regione che ha investito molto nella rete per la preservazione della fertilità. Il Policlinico di Modena è tra i centri italiani che sin dagli anni Duemila hanno sviluppato percorsi integrati per le pazienti oncologiche in età riproduttiva, con un approccio multidisciplinare che coinvolge oncologi, ginecologi, biologi della riproduzione e psicologi.

Ad oggi, l’autotrapianto di tessuto ovarico è una procedura eseguita in pochi centri altamente specializzati, e il suo successo dipende da una rigorosa selezione dei casi, dalla qualità del tessuto crioconservato e dall’esperienza dell’équipe coinvolta. La paziente sarà ora seguita in un percorso di monitoraggio per valutare la ripresa della funzione ovarica e l’eventuale ottenimento di una gravidanza.

Presso il Centro di Medicina della Riproduzione del Policlinico di Modena è attivo da oltre vent’anni un percorso dedicato alla preservazione della fertilità nelle pazienti oncologiche in età riproduttiva. Questo percorso è seguito dall’équipe coordinata dal Prof. Antonio La Marca, e composta dai ginecologi Dott. Simone Giulini, Dott.ssa Giovanna Sighinolfi, Dott.ssa Valentina Grisendi, Dott.ssa Claudia Re, Dott.ssa Maria Giovanna Imbrogno, e dagli embriologi Dott.ssa Daniela Tagliasacchi, Dott.ssa Susanna Xella, Dott.ssa Tiziana Marsella e Dott.ssa Francesca Bastai. la procedura laparoscopica di reinserimento del tessuto ovarico è stata eseguita dal Prof. Antonio La Marca, dal Dottor Antonino Farulla e dal Dottor Simone Giulini.

Il servizio offre una consulenza specialistica alle donne che ricevono una diagnosi di tumore e devono sottoporsi a trattamenti oncologici che possono compromettere la funzione ovarica. Il percorso inizia con una valutazione personalizzata, in cui vengono considerati il tipo di patologia oncologica, la terapia prevista e il relativo rischio per la fertilità.

«Il successo di questo intervento – sono le conclusioni dell’Ingegner Luca Baldino, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena – rappresenta un risultato straordinario, che sintetizza l’eccellenza clinica, la lungimiranza nella programmazione e la capacità di lavorare in rete. Siamo orgogliosi che l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, sia un punto di riferimento nazionale nella medicina della riproduzione, in grado di offrire speranza e futuro anche a chi ha affrontato un percorso oncologico. Un ringraziamento sentito va a tutta l’équipe coinvolta, che con competenza e dedizione ha reso possibile l’esecuzione di un intervento di altissimo livello».

Il recente intervento eseguito presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena rappresenta un importante traguardo nel campo della medicina della riproduzione e della preservazione della fertilità in pazienti oncologiche. La procedura ha riguardato una donna di 36 anni che, a seguito di una diagnosi tumorale ricevuta nel 2011, si era sottoposta alla crioconservazione di tessuto ovarico prima di iniziare un trattamento chemioterapico ad alto rischio di tossicità gonadica.

La criopreservazione del tessuto ovarico (OTC, Ovarian Tissue Cryopreservation) è una tecnica di preservazione della fertilità che prevede il prelievo e la conservazione di porzioni di tessuto ovarico contenenti follicoli ovarici primordiali. Si tratta dell’unica opzione disponibile per le pazienti che devono iniziare tempestivamente le cure oncologiche, o per le bambine e adolescenti per le quali non è possibile procedere con la stimolazione ovarica e la crioconservazione di ovociti.

Nel caso modenese, a distanza di 14 anni, la paziente – guarita dalla patologia tumorale ma in menopausa precoce indotta – ha richiesto una valutazione per un possibile recupero della fertilità. L’équipe del Professor Antonio La Marca, Direttore della Ginecologia e Ostetricia del Policlinico, ha valutato l’idoneità del tessuto crioconservato, confermandone la qualità e la fattibilità del reimpianto.

L’intervento chirurgico è stato condotto in laparoscopia: i frammenti di corticale ovarica sono stati scongelati e successivamente reimpiantati nella regione della fossa ovarica, vicino al residuo ovarico sinistro, con particolare attenzione all’apporto vascolare, fondamentale per il successo dell’attecchimento. La scelta del sito d’innesto è cruciale, poiché una rapida neovascolarizzazione è determinante per la sopravvivenza dei follicoli e la ripresa della funzione endocrina e ovulatoria.

Nel caso specifico, il trapianto di tessuto ovarico mediante tecnica laparoscopica è stato eseguito dall’équipe di chirurghi composta dal Professor Antonio La Marca, dal Dottor Antonino Farulla e dal Dottor Simone Giulini. Il trattamento del tessuto è stato curata dalle embriologhe Dottoresse Susanna Xella, Tiziana Marsella, Francesca Bastai e Daniela Tagliasacchi.

«Il nostro obiettivo primario è riattivare la funzione ovarica: far ricomparire le mestruazioni e, soprattutto, l’ovulazione – spiega il Professor Antonio La Marcaquesto tipo di autotrapianto offre alla paziente la possibilità concreta di ottenere una gravidanza spontanea, anche dopo molti anni dalla crioconservazione, se il tessuto mantiene vitalità. In questo caso, il periodo di congelamento è stato particolarmente lungo, ben 14 anni, ma il tessuto si è presentato in buone condizioni, testimoniando l’efficacia delle tecniche di conservazione adottate».

Il follow-up prevede il monitoraggio dei livelli ormonali e della funzionalità follicolare mediante ecografia transvaginale. Dopo il trapianto la ripresa del ciclo mestruale avviene in circa 18 settimane. I tassi di gravidanza risultano complessivamente più alti quando il tessuto viene crioconservato prima dei 35 anni. Il trapianto sull’ovaio residuo o in una tasca peritoneale pelvica sembra garantire risultati simili.

La durata della funzione del tessuto trapiantato è pari a circa 2,5 anni in media, sebbene questi dati siano ancora in fase di studio. Il rischio di recidiva tumorale dopo il trapianto è un tema dibattuto, ma non esistono prove definitive che il tumore possa ripresentarsi a partire dal tessuto trapiantato.

Negli ultimi anni, il numero di diagnosi di cancro in stadio iniziale tra le donne sotto i 50 anni è aumentato del 4,35%. I tumori più comuni sono quelli mammari e del sangue, mentre il maggiore incremento si è registrato nei tumori gastrointestinali (+14,8%). Grazie ai progressi nella diagnosi e nei trattamenti oncologici, i tassi di sopravvivenza sono migliorati, aumentando la domanda di tecniche sicure ed efficaci per la preservazione della fertilità.

Uno degli sviluppi più significativi degli ultimi 20 anni è proprio la crioconservazione del tessuto ovarico, una delle poche opzioni disponibili in caso di bambine prepuberi e per le pazienti che devono iniziare immediatamente il trattamento oncologico. Dal primo caso di nascita da tessuto ovarico crioconservato nel 2005, sono stati riportati oltre 130 casi. Dal 2019, l’American Society for Reproductive Medicine ha dichiarato che questa tecnica può essere introdotta nella pratica clinica globale.

Il trapianto di tessuto ovarico è oggi un’opzione consolidata per la preservazione della fertilità nelle pazienti oncologiche, e la sua applicazione è in progressiva espansione anche in Italia grazie alla crescita di expertise nei centri autorizzati. Questa strategia è particolarmente indicata anche per pazienti con patologie autoimmuni (ad esempio lupus eritematoso sistemico o artrite reumatoide) che possono richiedere terapie immunosoppressive tossiche per le ovaie, oppure con malattie genetiche ad alto rischio di insufficienza ovarica prematura, come la sindrome di Turner o la premutazione del gene FMR1 (associata alla sindrome dell’X fragile).

In Italia, gli autotrapianti di tessuto ovarico sono stati eseguiti in quattro regioni italiane: prima del Policlinico di Modena citiamo l’Ospedale Sant’Anna di Torino, il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi e l’Ospedale San Raffaele di Milano. L’intervento realizzato nelle scorse settimane a Modena dimostra come la sinergia tra programmazione precoce, conservazione di qualità e chirurgia mininvasiva possa restituire un’opportunità riproduttiva concreta anche a distanza di molti anni dalla diagnosi oncologica.