Le idee più innovative arrivano dai margini? Le storie di eminenti innovatori come Katalin Karikó – scienziata ungherese che dopo anni di disprezzo ed emarginazione per le sue teorie sull’RNA del messenger (mRNA) ha giocato un ruolo chiave per lo sviluppo rapido di un vaccino contro il COVID-19 ed è stata insignita del Premio Nobel per la medicina 2023 – o Jack Ma – insegnante di inglese fondatore di Alibaba, una delle più grandi imprese tech al mondo – dimostrano che l’innovazione, imprenditoriale, artistica e scientifica, parte spesso da outsiders. Liberi da vincoli e aspettative che condizionano gli insider – ovvero coloro che appartengono al sistema e ne condividono codici culturali, norme e pratiche consolidate – gli outsider riescono a vedere ciò che gli altri non vedono, scardinando lo status quo. L
a stessa libertà che dà origine al pensiero innovativo può tuttavia trasformarsi in un ostacolo: se è vero che gli outsider sono portatori di prospettive inedite è altrettanto vero che devono solitamente scontrarsi con la resistenza di chi è radicato nel contesto in cui cercano di farsi spazio e nel quale non hanno né credibilità né consuetudine culturale. Come ha affermato il visionario fondatore di Y Combinator, Paul Graham: “le grandi novità spesso provengono dai margini, eppure coloro che le scoprono sono ostracizzati da tutti”. Questa contraddizione è al centro di quello che Graham definisce il paradosso dell’outsider.
In che modo, dunque, gli outsider di successo superano il paradosso di Graham e impattano un mondo che li osteggia? Quali lezioni possiamo trarre dai successi di figure come Katalin Karikó? Come possono le organizzazioni non solo individuare ma anche potenziare gli outsider originali, amplificarne la voce e offrire l’ambiente necessario affinché le loro idee possano fiorire?
Sono alcune delle domande a cui da oltre quindici anni cerca di dare risposta Simone Ferriani, professore di Imprenditoria e Innovazione all’Università di Bologna e alla Bayes Business School di Londra, ai cui studi MIT Sloan Management Review (edizione di primavera 2025) ha dedicato l’articolo di copertina.
“C’è un pattern ricorrente nelle storie di innovazione che abbiamo analizzato nel corso degli anni – spiega il professor Ferriani – Gli outsider sono quasi sempre portatori di competenze e idee inedite nei mondi in cui approdano, proprio perché tali idee maturano in contesti diversi da quelli di destinazione”. È nell’incontro-scontro tra mondi diversi che prende vita la novità. “Alcuni anni fa – prosegue Ferriani – abbiamo mappato l’intricata rete di collaborazioni tra circa 12mila artisti di Hollywood per capire se il successo creativo fosse concentrato all’epicentro di questa rete o disperso ai suoi margini. I risultati mostrano che gli individui di maggior successo creativo non sono né ai margini né al centro del sistema, bensì in una zona di confine tra il centro e la periferia, dove la legittimità incontra la novità”.
Importare novità dall’esterno può avere esiti innovativi straordinari ma comporta anche non poche complicazioni. La pressione a conformarsi al gruppo, come dimostrato negli anni ’50 da una famosa serie di esperimenti condotti dallo psicologo Solomon Asch, può paralizzare qualunque velleità di cambiamento, specie quando ci si fa portatori dell’unico punto di vista fuori dal coro. “Fortunatamente – continua Ferriani – gli studi di Asch hanno anche suggerito un meccanismo di ‘disinnesco’ di questa paralisi sociale: la presenza di una seconda voce dissenziente”. Un’illustrazione accattivante di questa idea è stata offerta qualche anno fa da Derek Sivers, fondatore ed ex presidente di CD Baby, uno dei principali negozi online al mondo per musicisti indipendenti. Durante un popolare TED Talk, Sivers ha mostrato un video in cui, ad un party, un ragazzo si scatenava con abbandono in una danza solitaria. All’inizio è sembrato un po’ strambo nella sua solitudine, ma poi è accaduto qualcosa di straordinario: un altro ragazzo si è unito alla danza. Quel semplice gesto di solidarietà ha fatto la differenza nel rendere mainstream ciò che era marginale: in pochi secondi decine di altri ragazzi si sono aggiunti e si è scatenato un ballo collettivo.
“Più volte, la storia ci ha mostrato il ruolo decisivo di un alleato interno inaspettato – afferma il professor Cattani, New York University, coautore delle ricerche – Considerate il caso straordinario di John Harrison, un orologiaio autodidatta senza educazione formale proveniente da un oscuro villaggio nel Lincolnshire. Harrison ha sfidato l’establishment accademico con un approccio innovativo alla risoluzione dell’antico problema della determinazione della longitudine in mare aperto. Dopo anni di lotta instancabile per dimostrare la validità del suo cronometro marino, la fortuna di Harrison è cambiata drasticamente quando ha attirato l’attenzione del re Giorgio III, che condivideva la passione di Harrison per l’orologeria”. Gli alleati, secondo lo studio, sono solitamente guidati da un allineamento emotivo o cognitivo verso gli improbabili innovatori che scelgono di sostenere.
Un altro aspetto fondamentale per fare breccia nel sistema è il linguaggio. Gli outsider hanno scarsa familiarità con i codici culturali degli insider. “I nostri esperimenti – prosegue Ferriani – dimostrano che quando l’outsider utilizza un linguaggio allineato a quello proprio del contesto in cui cerca di affermarsi, la sua probabilità di successo aumenta significativamente”.
Lo studio pone inoltre attenzione ai bias che ostacolano la capacità delle organizzazioni di cogliere il potenziale degli outsider. Ferriani e i suoi collaboratori hanno analizzato i condizionamenti cognitivi derivanti dall’intensità con cui un gruppo si riconosce parte di una identità collettiva. “Abbiamo condotto un esperimento con due gruppi di scienziati e scienziate dell’Università di Bologna, a cui abbiamo chiesto di valutare la stessa idea, in un caso proposta da un insider, nell’altro invece da un outsider rispetto alla loro comunità disciplinare. Abbiamo inoltre manipolato il senso di appartenenza al gruppo di scienziati e scienziate in due modi alternativi: stimolandone l’identità collettiva e quella individuale. Prevedibilmente, quando l’identità saliente del gruppo è quella collettiva, la stessa idea viene valutata più positivamente se proposta da un insider. Tuttavia, questi risultati si ribaltano per il gruppo di scienziati e scienziate la cui identità saliente è quella individuale. In questo caso, a brillare di più è l’idea proposta dall’outsider”.
Questo affascinante rovesciamento di fronte suggerisce che anche un piccolo stimolo identitario volto a incoraggiare i membri del gruppo a valorizzare il proprio punto di vista personale è sufficiente per rendere l’organizzazione più inclusiva e permeabile alle proposte esterne. Un’interessante illustrazione di questo principio si trova nell’industria che forse più di ogni altra fa della ricerca di idee di rottura la propria ragion d’essere: il Venture Capital (VC). A Sequoia Capital (uno dei più importanti fondi di VC al mondo), ad esempio, le decisioni di investimento passano da una procedura di selezione in cui i partner del fondo incontrano prima autonomamente i fondatori oggetto di potenziale investimento. In questo modo si formano opinioni basate unicamente sulle proprie personali valutazioni dei meriti delle proposte che analizzano. Solo dopo che le valutazioni indipendenti sono state raccolte, i partner si riuniscono per deliberare collettivamente e decidere se investire. In questo modo Sequoia cerca di stimolare l’apertura mentale valorizzando l’autonomia di pensiero e incoraggiando possibili voci fuori dal coro.
Gli studi si soffermano inoltre sui cambiamenti esogeni in grado di facilitare o ostacolare l’ascesa degli outsider. “Le nostre ricerche – spiega Ferriani – suggeriscono che l’outsider riesce spesso ad affermarsi nei momenti di forte e improvviso cambiamento, quelli che chiamiamo ‘inflection points’”. Si pensi, di nuovo, a Katalin Karikó: lo shock planetario causato dal Covid-19 ne ha catapultato le idee al centro dell’attenzione scientifica mondiale, trasformandola in una figura centrale nella lotta contro la pandemia.
In sintesi, se le più grandi innovazioni si nascondono spesso ai margini del sistema, abbracciare la prospettiva di un outsider può essere la chiave per svelarle. Come ci ricorda Alan Turing: “A volte sono persone inimmaginabili che realizzano le cose che nessuno può immaginare”.