Oggi si è tenuta la seduta solenne del Consiglio comunale dedicata al Giorno della Memoria. Di seguito l’intervento conclusivo del sindaco Matteo Lepore.

“Grazie, Presidente. Saluto tutte le consigliere e i consiglieri, i cittadini e le cittadine presenti, e ringrazio per i loro interventi il vicepresidente dell’Aned, Fabrizio Tosi, e il presidente della Comunità ebraica, Daniele De Paz, che hanno accettato l’invito della Presidente del Consiglio, di tutto il Consiglio comunale e mio ad un confronto oggi in questo Consiglio solenne. Ci riuniamo infatti dopo ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, come è stato detto, per la Giornata della memoria, appunto un momento solenne in cui il ricordo delle vittime della Shoah si intreccia con la responsabilità di costruire un futuro fondato sulla dignità umana, sulla libertà e la democrazia.

Nella nostra città la memoria non è unicamente un atto di vigilanza, ma un processo collettivo, un richiamo a riconoscere e contrastare le insidie dell’indifferenza e dell’odio, a riflettere attorno a concetti fondamentali quali la parola “verità” e la parola “giustizia”. Questa ricorrenza non è solo un tributo alla vite spezzate dei milioni di ebrei, oppositori politici, omosessuali, internati, deportati, Rom, Testimoni di Geova, slavi, disabili, prigionieri militari e chissà quanti altri ancora nella memoria purtroppo di milioni di famiglie del nostro continente, il Giorno della memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto.
È stato così designato da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2005, in una sessione plenaria, una sessione nella quale si celebrava il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine della Shoah. Si è stabilito di celebrare il Giorno della memoria perché quel giorno del 1945, come abbiamo già detto, le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, abbandonato dai nazisti in fuga ormai da giorni. Furono le truppe sovietiche della Sessantesima Armata del primo fronte ucraino del maresciallo Ivan Stepanovič Konev, ad arrivare per prime la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), scoprendo il vicino campo di concentramento e liberando i superstiti. La scoperta del campo e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.
Tra i principali promotori della legge che ha istituito il Giorno della memoria in Italia ci fu allora il giornalista e senatore Furio Colombo, recentemente scomparso, persona di grande valore che in questa occasione vorrei ricordare, il quale ha dedicato la propria vita in difesa della libertà, dei diritti umani e alla lotta contro ogni forma di antisemitismo.

Ottant’anni dopo, fa effetto rileggere la storia di quegli anni alla luce del contesto internazionale attuale. In particolare alla luce della ‘Terza guerra mondiale a pezzi’, così l’ha definita Papa Francesco. Uno stato di guerra permanente che con una serie di scosse telluriche, progressive e localizzate in varie parti del pianeta, ha finito per produrre le basi di un nuovo ordine mondiale. Un nuovo ordine dove purtroppo sono tornati in auge il saluto romano e la locuzione latina ‘Si vis pacem, para bellum’ (Se vuoi la pace, prepara la guerra).
‘Il vecchio mondo sta morendo e quello nuovo tarda a comparire e in questo chiaroscuro nascono i mostri’. Ecco, questa invece è una citazione di Antonio Gramsci, buona per tanti momenti della storia contemporanea, se non fosse che appunto i mostri li stiamo già vedendo tra di noi. Una nuova modernità fatta di nuovi linguaggi, strategie di odio e sopraffazione tecnologica. Una nuova modernità ancora peggiore della precedente, dove le persone, gli esseri umani non sono più vite, ma corpi dei quali disporre, dove le menti non sono più coscienze, ma cervelli dei quali approfittare, dove gli occhi non rappresentano più il senso acuto e responsabile dei sentimenti, ma la principale porta di accesso dell’oscenità che trasforma tutti noi in indifferenti. E così, se Primo Levi ci spronava con il suo ‘meditate che questo è stato’, chiedendoci di testimoniare per non dimenticare, noi, i testimoni dell’oscenità di oggi, rischiamo di non avere più emozioni né sentimenti, per imporci l’imperativo ‘non accada mai più’.
Sembra proprio che la storia non ci abbia insegnato nulla o, almeno, che abbia cessato di insegnare. E ha ragione il presidente De Paz, la Shoah non è nata solo nei campi di sterminio, anzi è stata il risultato di un lento processo di deumanizzazione, delegittimazione, demonizzazione al servizio della volontà di potenza, di imperialismo territoriale, politico ed economico. È iniziata con le parole di odio, con leggi discriminatorie, con l’accettazione passiva della discriminazione come normalità, la razza come strumento di divisione tra gli uomini, la razza come potere e diritto di morte. Ricordare significa anche comprendere come il silenzio e l’indifferenza poterono trasformarsi in complicità.

Oggi, mentre le generazioni e i testimoni diretti ci lasciano, è nostro compito trasmettere la memoria ai giovani, non solo come racconto storico, ma come responsabilità civile. È solo coltivando una consapevolezza critica che possiamo impedire che le ombre del passato si proiettino sul nostro futuro, senza lasciarci andare alla deriva del pensiero e del grido più forte. Anche per questo voglio esprimere, a nome della città di Bologna, la nostra più profonda solidarietà alla senatrice Liliana Segre, testimone e custode della memoria della Shoah, che continua a essere bersaglio di ignobili insulti e minacce. La sua voce per noi è un faro che ci guida e ci ricorda che la memoria è un atto di coraggio, la sua stella un esempio da portare caro nel cuore.

Il 5 maggio prossimo accompagnerò una delegazione di oltre duecento studenti bolognesi, insieme all’Aned e ad altre istituzioni, in un Viaggio della memoria al campo di Mauthausen. Questo luogo è simbolo della brutalità del sistema nazista. A Mauthausen decine di migliaia di prigionieri furono sfruttati fino allo stremo nelle cave di granito, costretti a salire la famigerata “scala della morte” con carichi impossibili. Per me sarà la prima visita a un campo di sterminio e, come ho già detto al presidente De Paz, mi piacerebbe molto farla insieme a lui. Sarà un’esperienza di profonda riflessione, condivisa con i giovani, per rinnovare il nostro impegno a mantenere viva la memoria e costruire una società più giusta. A Mauthausen si è compiuto un altro terribile capitolo della nostra storia collettiva, che insieme a pochi altri incarna l’assoluta inumanità della persecuzione. Il campo è stato uno dei più temuti e violenti del Terzo Reich, dove milioni di prigionieri, tra cui molti italiani, furono costretti a vivere in condizioni inimmaginabili. La durezza del lavoro forzato, le violenze quotidiane, le torture, la morte di tanti uomini e donne innocenti sono diventati i simboli della crudeltà del regime.
Nel cuore di quell’inferno il senso di umanità sembrava estinto. Eppure, tra tanta sofferenza ci furono atti di resistenza e di speranza. ‘Accade facilmente a chi ha perso tutto di perdere se stesso’, scriveva Primo Levi, le sue parole sono il testamento di un uomo che, pur sopravvivendo all’inferno di Auschwitz, ha saputo conservare la propria umanità e ha lottato attraverso la scrittura affinché il mondo non dimenticasse mai.

Ora la memoria della Shoah ci impone una riflessione più profonda, che riguarda il nostro presente e anche il nostro futuro. La lezione che dobbiamo da quella tragica esperienza è che, quando si rompe l’idea che la legge sia uguale per tutti, quando si cominciano a fare distinzioni tra le persone sulla base della loro provenienza, della loro razza, delle condizioni di nascita, di credo, prima o poi la libertà di tutti e il sistema democratico ne vengono travolti. Ed è forse proprio questo il fine ultimo dei dittatori, degli oligarchi e degli autocrati di oggi: sovvertire l’ordine democratico, a partire dal senso stesso delle nostre vite, della nostra domanda di libertà. È il loro preciso scopo quello di indurci a questo, a domandare meno libertà. Se i diritti di alcuni sono calpestati, i diritti di tutti sono in pericolo. Anche per questo il rispetto dei diritti umani è la sentinella più importante in ogni parte del mondo, in ogni società e conflitto, a doverci preoccupare.
È stato così per il popolo ebraico durante il nazifascismo, quando la legislazione razziale e le politiche discriminatorie avevano come obiettivo l’esclusione e l’annientamento di una parte della società. Ma non possiamo fermarci alla storia, dobbiamo guardare al presente con gli occhi carichi di quel sentimento, quel sentire così crudamente rappresentato, ad esempio, di un film recente, ‘La zona di interesse’, dove il comandante del campo di Auschwitz, insieme alla sua famiglia, continuava indisturbato a vivere nella villa con giardino, mentre al di là del muro migliaia di uomini, di donne e bambini venivano gasati e cremati nei forni.
Dobbiamo imparare da quella tragedia, cioè che le discriminazioni non iniziano soltanto con la violenza fisica, ma con le parole, le leggi, le esclusioni sociali, la divisione tra noi e loro, il seme dell’odio che si annida nelle politiche di discriminazione che hanno segnato il popolo ebraico e le vittime della Shoah. Questo può riguardare, e purtroppo riguarda, tanti gruppi che per qualsiasi motivo vengono messi al margine della società.

Signor Presidente, gentili consiglieri e consigliere, voglio concludere questa riflessione che racchiude per me il senso stesso del Giorno della memoria e della responsabilità con un ultimo appunto. Bologna, la nostra città, simbolo di accoglienza, di Resistenza e di dialogo. Durante la Seconda guerra mondiale Bologna è stata teatro di eventi drammatici, di bombardamenti, di persecuzioni, ma è stata anche una città di lotta e di solidarietà. I nostri nonni e le nostre nonne, tanti bolognesi hanno resistito, hanno lottato contro il fascismo e l’occupazione nazista. Qui, in questi luoghi si sono consumati atti di coraggio e di speranza, che noi non dobbiamo mai dimenticare.
Il Giorno della memoria non è solo un momento di riflessione sul passato, ma è una importantissima occasione. In un mondo che fatica a prendere la storia, il nostro compito è quello di trasmettere alle nuove generazioni questo impegno, la memoria come dovere civile, ancora una volta, il dovere della convivenza, il dovere dell’ascolto reciproco e del dialogo.
Il dialogo anche con chi oggi, da ogni parte, anche tra la comunità ebraica, non si rassegna alla negazione dei diritti in ogni parte del mondo, e anche in Palestina. In questi giorni dobbiamo essere capaci di trovare la forza che ci incita ad agire. Proprio Bologna, infatti, ci insegna che la memoria non è mai passiva. La memoria ha bisogno di un punto di vista democratico, di un punto di vista che porti il valore della vita, che quando improvvisamente scompare ci conduce in errore. Le pietre d’inciampo, che troviamo nei nostri quartieri, nei nostri luoghi, ci ricordano i bolognesi che furono deportati, quelli che non tornarono, quelli che riuscirono a salvarsi, ma anche quelli che purtroppo furono traditi dal silenzio di tanti. Le pietre d’inciampo sono un monito a non dimenticare, a non voltare la testa dall’altra parte, quando l’umanità viene messa in discussione.
Oggi rendiamo omaggio alle vittime della Shoah, ai bambini, alle donne, agli uomini che hanno perso la vita nei campi di sterminio, nei luoghi di tortura e nelle fosse comuni. Oggi rinnoviamo il nostro impegno a non dimenticare mai, a non abbassare mai la guardia. La memoria è la nostra forza, la nostra responsabilità, è il nostro impegno per un futuro in cui il rispetto e la dignità di ogni persona siano garantiti senza compromessi. In conclusione, per congedarmi da voi, voglio ricordare parole, lo so, stracitate, ma oggi, secondo me, straordinariamente attuali, del pastore luterano Martin Niemöller, sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti. ‘Quando i nazisti presero i comunisti, io non dissi nulla perché non ero comunista. Quando rinchiusero i socialdemocratici, io non dissi nulla perché non ero socialdemocratico. Quando presero i sindacalisti, non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi presero gli ebrei e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero a prendere me, e non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa’. Oggi ricordiamo per agire e usiamo le parole che hanno un immenso potere, il potere di far esistere le cose o di farle sparire. Non lasciamo che la nostra nuova modernità sia definita ancora una volta dagli uomini in catene. Oggi più che mai dobbiamo ricordare, ricordare che siamo uomini, donne e non mostri. Uomini e, di sicuro, non giganti. Grazie”.