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Analizzando le acque reflue di cinque città europee – incluse Bologna e Roma – un gruppo internazionale di ricercatori è riuscito a caratterizzare più di 2.300 specie batteriche, tra cui oltre 1.300 che finora non erano mai state descritte. I risultati – pubblicati su Nature Communications – ampliano la conoscenza degli ecosistemi microbici “buoni” e “cattivi” con i quali interagiamo tutti i giorni senza rendercene conto e che possono favorire la diffusione di microrganismi resistenti agli antibiotici.

“Contrastare l’antibiotico resistenza è fondamentale per il presente e il futuro della salute di tutti, in un pianeta sempre più globalizzato, ricco di interconnessioni e con un’elevata densità di persone e animali allevati”, dice Daniel Remondini, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna. “I metodi di analisi avanzata che abbiamo utilizzato diventano quindi molto importanti per identificare rapidamente e per monitorare le cosiddette epidemie silenziose: organismi potenzialmente pericolosi anche quando non producono effetti a livello clinico”.

Il contesto è quello del paradigma One Health, che tiene conto dell’intreccio indissolubile tra la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema. Le acque reflue, in questo senso, sono uno strumento centrale per monitorare la situazione in grandi spazi urbani. Tanto che a partire dal 2025, l’Unione Europea prevede di implementare sistemi di monitoraggio negli impianti di trattamento di tutte le città con più di centomila abitanti.

Con un’analisi longitudinale durata circa due anni, gli studiosi hanno quindi misurato e analizzato per la prima volta il contenuto microbico nelle acque reflue di sette impianti di trattamento in cinque città europee: Copenhagen, Rotterdam, Bologna, Roma e Budapest. Nel complesso sono stati individuati i dati metagenomici di 2.332 specie batteriche, di cui 1.334 mai descritte finora.

Guardando alle singole città, una differenza importante è quella della stagionalità: Rotterdam e Copenhagen mostrano forti variazioni nel corso dell’anno nella composizione delle comunità batteriche, mentre altri centri urbani come quello di Bologna sono molto più stabili. Un elemento, questo, che suggerisce dinamiche di sviluppo ed evoluzione dei batteri legate a una molteplicità di elementi diversi.

“Servono analisi più frequenti e più approfondite per fare luce sulle tante cose che ancora non sappiamo, a partire da migliaia di specie batteriche ancora da scoprire”, aggiunge Remondini. “In questo modo, potremmo arrivare in futuro allo sviluppo di un sistema che, a partire da una serie di campioni presi da un impianto di trattamento, ci permetta di evidenziare i cambiamenti che avvengono nell’ecosistema, individuando possibili minacce e attuando così per tempo le contromisure necessarie”.

Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications con il titolo “Time-series sewage metagenomics distinguishes seasonal, human-derived and environmental microbial communities potentially allowing source-attributed surveillance”. Il gruppo interdisciplinare dell’Università di Bologna che ha partecipato allo studio, coordinato da Daniel Remondini del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”, è legato al progetto europeo VEO – Versatile Emerging Infectious Disease Observatory e comprende Alessandro Fuschi (primo autore) e Alessandra Merlotti (Dipartimento di Fisica e Astronomia), Alessandra De Cesare e Fulvia Troja (Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie), Frederique Pasquali e Chiara Oliveri (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari). L’analisi dell’area Metropolitana di Bologna è stata realizzata grazie alla collaborazione del Gruppo Hera, che ha fornito supporto ai campionamenti delle acque reflue.