Galassia Medusa crediti: Ian Roberts

Dopo sette anni di lavoro, un gruppo internazionale di astronomi, tra cui anche diversi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Bologna, ha pubblicato la seconda tornata di dati raccolti nell’ambito della LOFAR Two-metre Sky Survey (LoTSS), realizzata con il radiotelescopio europeo Low Frequency Array (LOFAR).

Sfruttando la potenza della più estesa rete al mondo – attualmente operativa – per osservazioni radioastronomiche a bassa frequenza, i ricercatori hanno mappato circa 5600 gradi quadrati di cielo – più di un quarto di tutto l’emisfero settentrionale – rivelando l’immagine sorprendentemente dettagliata di quasi 4,4 milioni di sorgenti radio. Questa nuova banca dati, che rappresenta solo il 27% dell’intera survey, oggi viene resa disponibile a tutti con il primo di una serie di articoli che verranno pubblicati su diverse riviste scientifiche internazionali.

Oltre 3500 ore di osservazioni immagazzinate in 8 petabyte di spazio su disco, l’equivalente di circa 20 mila laptop: questa è l’immensa quantità di dati contenuta nella nuova mappa di LOFAR. Per produrla, sono stati implementati algoritmi di elaborazione dati all’avanguardia su computer ad alte prestazioni in tutta Europa. Questo set di dati, che è di gran lunga il più grande della LOFAR Two-meter Sky Survey, presenta circa un milione di oggetti finora totalmente sconosciuti e quasi quattro milioni di oggetti che sono stati scoperti emettere anche onde radio.

La survey e la serie di articoli in via di pubblicazione vedono un coinvolgimento significativo di personale e associati INAF, ente a capo del consorzio italiano membro della collaborazione LOFAR. Gianfranco Brunetti, dell’INAF di Bologna, da alcuni anni guida a livello internazionale le ricerche LOFAR nell’ambito degli ammassi di galassie ed è coordinatore nazionale della collaborazione LOFAR. “La seconda data release di questa survey ha richiesto molti anni di osservazione e di sviluppo di algoritmi innovativi per la calibrazione e analisi delle osservazioni in un intervallo di frequenze in cui l’universo non era mai stato esplorato con questo dettaglio e profondità”, dice. “L’INAF sta dando un contributo importante, tra gli altri la nostra comunità è fra le più attive e produttive nello studio degli ammassi di galassie dove le osservazioni LOFAR stanno portando a scoperte importanti”.

LOFAR ha una notevole capacità di captare i più flebili segnali radio provenienti dal cosmo, e questo permette di rispondere, appunto, a molte domande sulla formazione ed evoluzione degli ammassi di galassie, cioè raggruppamenti di centinaia di migliaia di galassie circondate da un gas a temperature di decine di milioni di gradi: quando due ammassi interagiscono fra loro, producono emissioni radio su scale di milioni di anni luce. Le antenne di LOFAR sono progettate per essere sensibili proprio a queste emissioni.

Annalisa Bonafede, professoressa associata dell’Università di Bologna e associata INAF, sottolinea: “Il ruolo dell’Università di Bologna e dell’INAF è stato fondamentale, soprattutto per quello che riguarda lo studio di questi grandi agglomerati di materia oscura che contengono anche elettroni relativistici e campi magnetici che danno origine all’emissione radio osservata. I dati hanno permesso di mappare campi ed elettroni con un dettaglio mai raggiunto prima. Si pensa che l’emissione radio sia dovuta alla ri-accelerazione degli elettroni ad opera della turbolenza che si sviluppa nel mezzo, ma fino ad oggi non era mai stato possibile scendere nel dettaglio di questo fenomeno”.

Bonafede ha guidato il gruppo di ricercatori che ha studiato con LOFAR le galassie appartenenti all’Ammasso della Chioma, una delle strutture più grandi che si conoscano a circa 300 milioni di anni luce dalla Terra. Spiega: “L’Ammasso della Chioma ospita uno degli aloni radio più famosi e meglio studiati, e grazie alle osservazioni LOFAR siamo riusciti a mappare questa emissione radio a grande distanza, scoprendo che si estende senza soluzione di continuità su un fronte di circa 2 milioni e mezzo di anni luce. Per la prima volta, siamo anche riusciti a vincolare come la turbolenza potrebbe dare luogo all’emissione osservata. Rimane ancora tanto da capire riguardo alla fisica di questi oggetti, ma queste osservazioni ci indicano chiaramente la strada per potere avanzare la nostra conoscenza di questi misteriosi oggetti”. Lo studio relativo a questa sorgente verrà pubblicato prossimamente su The Astrophysical Journal.

I dati della LOFAR Two-metre Sky Survey possono essere utilizzati per rilevare un’ampia gamma di segnali, come quelli provenienti da pianeti o galassie vicini fino a deboli emissioni nel lontano universo. La grande maggioranza di questi oggetti si trova a miliardi di anni luce di distanza: tra i più rari ci sono anche gruppi di galassie lontane in collisione e stelle luminose all’interno della Via Lattea. Nella survey troviamo anche uno studio che descrive la più grande struttura associata a una galassia mai osservata finora: Alcioneo, una radiogalassia i cui pennacchi di plasma sarebbero lunghi circa 16 milioni di anni luce. I risultati delle osservazioni, a cui ha partecipato anche personale dell’INAF, sono stati accettati per la pubblicazione su Astronomy and Astrophysics.

Manuela Magliocchetti, ricercatrice dell’INAF a Roma, commenta: “La profondità delle osservazioni effettuate con LOFAR fa sì che la densità delle radiosorgenti catturate sia più grande di almeno 8 volte rispetto a quelle di altre survey che hanno osservato nel passato gran parte del cielo radio. La combinazione di queste proprietà con la grande area osservata e l’impressionante numero di sorgenti contenute nel suo catalogo, consentirà alla seconda data release di LoTSS di rispondere ad un’ampia gamma di interrogativi scientifici”.

I ricercatori cercano, per esempio, di comprendere quali siano stati i processi fisici che hanno consentito la formazione di buchi neri supermassicci che emettono in banda radio; o di capire qual è il ruolo dei nuclei galattici attivi (AGN) nella formazione ed evoluzione delle galassie e qual è il loro contributo ai processi di feedback che ne determinano lo sviluppo fino a farle arrivare nelle forme e condizioni in cui le vediamo al giorno d’oggi. Tra gli altri obiettivi c’è anche quello di conoscere meglio la struttura su larga scala dell’universo, cosa la determina e come si è evoluta da epoche che corrispondono a poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang fino all’universo locale. E si spingono oltre, verso l’inaspettato: “l’identificazione di oggetti rari o mai visti o immaginati prima sarà possibile grazie all’enorme numero di sorgenti osservate da LOFAR su una gran parte del cielo Nord”, conclude Magliocchetti.

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Immagine radio (LoTSS-DR2) e ottica (Hubble) della Galassia Medusa o NGC 4858 che sta “volando” attraverso un mezzo denso che sta strappando materiale dalla galassia. Crediti: Ian Roberts