Nel caso dell’infezione da coronavirus le gestanti attivano una specifica risposta che difende dalla tempesta citochinica responsabile dei sintomi più gravi e dei decessi da Covid-19. Lo stabilisce uno studio scientifico pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Communications, in cui i ricercatori modenesi Sara De Biasi, Domenico Lo Tartaro e Lara Gibellini, guidati dai professori Fabio Facchinetti e Andrea Cossarizza, hanno identificato i meccanismi molecolari e cellulari che il sistema immunitario delle donne gravide attiva per tenere sotto controllo l’infezione da Sars-CoV-2. L’articolo, dal titolo “Endogenous control of inflammation characterizes pregnant women with asymptomatic or paucisymptomatic SARS-CoV-2 infection”, è uscito il 29 luglio scorso.
Per studiare nei dettagli le molecole presenti nel plasma e le cellule del sangue coinvolte nella risposta immunitaria, è stato utilizzato un originale approccio bioinformatico di “biologia dei sistemi” (system biology), che ha permesso di valutare le interazioni tra 62 molecole solubili plasmatiche (citochine primarie e secondarie) e le cellule presenti nel sangue periferico. Queste ultime sono state studiate con un nuovissimo metodo di citometria di massa, messo a punto dai modenesi insieme al gruppo americano di Andrew Quong e Clare Rogers della Fluidigm di San Francisco. Tale metodo permette l’identificazione di oltre 270 miliardi di tipi cellulari diversi tra loro.
Dallo studio è emerso come siano pochissimi i parametri immunologici che presentano alterazioni simili a quelle delle pazienti non gravide affette dall’infezione da Sars-CoV-2. In questa comparazione, l’unica variazione era la presenza nel sangue di granulociti immaturi, cellule chiave del processo infiammatorio, le cui funzioni devono ancora essere chiarite. Al contrario, il livello plasmatico di alcune molecole con attività antinfiammatoria (come l’interleuchina (IL)-1RA, e le IL-10 e IL-19) era decisamente aumentato, mentre quello di molecole pro-infiammatorie (IL-17, il PD-L1 e il D-dimero) era ridotto. I tassi di interleuchina-6, la citochina chiave dell’infiammazione causata dal virus, sono rimasti invece invariati.
“In gravidanza – illustra il professor Fabio Facchinetti, Direttore della Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’AOU Modena che nella pandemia ha assistito quasi tutti i parti delle donne Covid positive – il sistema immunitario lavora in modo particolare per permettere lo sviluppo del feto. In caso di infezione da coronavirus, le gestanti attivano una risposta specifica e nuova, che, proprio come un potente soffio di vento, spazza via la nota “tempesta citochinica”, responsabile dei sintomi più gravi e dei decessi legati al Covid-19. Questo processo spiega perché le gravide si siano meglio difese nella pandemia”. Gli stessi studi epidemiologici oggi riferiscono di un minor numero di complicanze di quante se ne temessero lo scorso anno.
“Sono molto orgoglioso del fatto che il nostro gruppo sia stato il primo a studiare così nei dettagli l’assetto immunologico di queste pazienti, chiarendo i dettagli che spiegano la loro risposta ottimale all’infezione”, afferma il professor Andrea Cossarizza, ordinario di Patologia e Immunologia all’Università di Modena e Reggio Emilia. “Lo studio, a cui hanno partecipato anche la professoressa Cristina Mussini e i professori Giovanni Guaraldi, Massimo Girardis e Isabella Neri dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria e dell’Ateneo modenese insieme ai dottori Mario Sarti dell’AOU e Tommaso Trenti dell’Ausl Modena, è iniziato nel momento più caldo della pandemia ed è proseguito per diversi mesi. Grazie anche alla stretta collaborazione attivata immediatamente con i colleghi americani, abbiamo quindi potuto utilizzare la più avanzata tecnologia cellulare oggi disponibile, ottenendo poi questi risultati”.
L’analisi bioinformatica dei dati prodotti dai ricercatori ha permesso di identificare alcuni meccanismi endogeni di regolazione della risposta infiammatoria che vengono messi in atto per controbilanciare la risposta stessa. La stessa analisi ha consentito di capire come questi meccanismi servano verosimilmente per evitare all’organismo l’insorgenza di gravi danni. Di conseguenza, le molecole identificate nelle gestanti come responsabili del controllo immunitario potrebbero rappresentare nuovi e originali strumenti o bersagli terapeutici.
Come commenta il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena, dottor Claudio Vagnini, “passi avanti di questa portata in un momento storico di pandemia globalizzata sono possibili solo grazie alla sinergia tra elementi singoli che si completano tra loro: la clinica e la ricerca, l’ospedale universitario e l’Università degli Studi, la tenacia del lavoro quotidiano e il rispetto verso il dato scientifico. Questi sono gli ingredienti base per fare l’eccellenza, uniti ovviamente all’intuizione e alla competenza”.
Il Rettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia, professor Carlo Adolfo Porro, sottolinea: “Lo studio condotto da Unimore e AOU di Modena e pubblicato su Nature Communications ci conferma, da un lato, l’alto valore scientifico dei nostri ricercatori e delle nostre ricercatrici e, dall’altro, l’attenzione che le rispettive istituzioni pongono ai temi direttamente connessi alla crisi pandemica. Siamo certi che questi eccellenti contributi nel campo della ricerca potranno essere strumenti fondamentali che permetteranno di incrementare ulteriormente le nostre conoscenze sui meccanismi di questa grave patologia”.
Le ricerche sono state sostenute da istituzioni, enti e privati cittadini.