Giovedì 10 giugno, intorno alle ore 20:00, si concluderà il lungo cammino di Diana Pacelli, quando l’artista italo-tedesca arriverà ai cancelli del Campo di Fossoli, a Carpi, dopo un cammino di circa 900 km che, percorsi a piedi, l’hanno condotta, in 40 giorni, dal Memoriale di Buchenwald sino alla città emiliana in cui ha sede il campo di transito dal quale passarono circa cinquemila deportati, la metà dei quali di origine ebraica, tra cui anche Primo Levi e la famiglia Fiano.
Trenta denari – questo il nome del progetto di arte performativa – indaga la responsabilità della memoria e il ruolo dell’arte come agente della memoria collettiva. Attraverso la realizzazione del cammino, l’intenzione è quella di confrontarsi con il tema negletto della delazione durante la Repubblica Sociale Italiana e arricchire dunque di nuovi impulsi la dialettica della narrazione storica.
Durante tutto il cammino, sin dalle porte del campo di Buchenwald, l’artista ha indossato, sul retro della testa, una maschera che la raffigura con gli occhi chiusi: tale maschera, sorta di ‘Giano bifronte’, sarà rimossa solo al termine del percorso, alle porte di Fossoli.
Il materiale fotografico e audiovisivo raccolto durante il percorso sarà successivamente elaborato in una forma narrativa altra che, includendo stralci di testimonianze, ibridi le stratificazioni della memoria in un racconto multiforme aperto a successive riletture.
Lungo il percorso, i punti di partenza e arrivo definiscono le linee di interpretazione dell’intero progetto: Buchenwald e Fossoli diventano infatti luoghi simbolici di una cittadinanza attiva che si esprime non solo attraverso l’azione politica ma anche artistica e delle potenzialità dell’arte di intessere una narrazione che trascenda l’immediatezza del presente.
Da un lato il campo di Buchenwald, in cui esiste ancora il cosiddetto albero di Goethe, e che è stato caratterizzato da un’attiva rete di resistenza; dall’altro il campo di Fossoli, legato il Museo Monumento al Deportato, voluto e realizzato da alcuni dei nomi più famosi del mondo dell’arte italiana e internazionale degli anni Sessanta in termini di una pratica artistica che si fa messaggio sociale.
Sin dal titolo – Trenta denari – s’intende istituire un parallelo tra il più iconico dei tradimenti, quello di Giuda, e le storie di delazione che, dopo le sentenze delle Corti Straordinarie d’Assise, sono state, con sin troppa urgenza, taciute e dimenticate per non rischiare di intaccare il già precario mito degli ‘italiani, brava gente’. Mito che ha consentito all’Italia di uscire dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale come confusa vittima di una sciagurata alleanza stretta con poca convinzione, e che è ancora oggi prodigo di condiscendenza e auto-assoluzione. E se la stessa memoria dei deportati, confrontandosi con mutevoli scenari politici, vede sorti alterne nel discorso pubblico, la delazione resta ancora, in grossa parte, argomento derelitto della storia e della memoria italiana.
In questa prospettiva, il tradimento di Giuda offre un paradigma simbolico attraverso il quale osservare il polimorfo orizzonte della delazione, e consente di abbracciare il fenomeno con un approccio organico e scevro da condanne dell’ultima ora, focalizzando invece l’attenzione sul reintegro delle componenti oscure dell’animo umano che hanno dato vita a quei traumi storici accuratamente rimossi dalle narrazioni collettive. Un reintegro che deve passare attraverso il riconoscimento dell’alterità come componente imprescindibile dell’identità, senza la quale i confini dell’uno, seppur permeabili, non sarebbero neanche definibili. Un’alterità, dunque, che modella la struttura dell’identità divenendone primaria scaturigine.
Il lavoro dell’artista Pacelli guarda a una narrazione storica consapevole che si faccia atto di responsabilità verso le vittime ma, innanzitutto e in primo luogo, verso il presente, nelle numerose sfide che pone alla nostra umanità ed integrità morale.
“Camminare – commenta Diana Pacelli – diviene il modo per collegare luoghi, storie, memorie, aspirazioni, lutto, non solo fisicamente ma anche mentalmente, simbolicamente.
I pellegrinaggi iniziavano con il mettersi in cammino verso il santuario di destinazione: l’avvicinarsi al santuario avveniva al contempo attraverso un percorso fisico e spirituale.
Camminare ci consente di situarci nel presente, di dare spazio al nostro pensiero, di renderlo esperienza incarnata. E nel mio caso auspica a divenire esperienza incarnata di un’identità tesa tra due estremi uniti da un baratro”.
Il progetto è stato realizzato con il contributo della Fondazione Fossoli, di Freundeskreis der Bauhaus Universität Weimar e.V., Stadt Dachau, Stadt Weimar, Bauhaus-Universität Weimar-Frauenförderfonds, Sparkasse Mittelthüringen.
Il lavoro ha visto il supporto logistico di istituzioni comunali, museali, documentaristiche e morali incontrate sul percorso, tra cui il centro studi Max Mannheimerdi di Dachau, la città di Hersbruck e di Monaco, il Monastero francescano di Schwaz, il Taxipalais Kunsthalle di Innsbruck, ANPI Altoadige e Verona, il Museo Mart, e molti altri.
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Nata a Napoli, Diana Pacelli è un’artista visiva italo-tedesca che vive e lavora a Berlino.
Con un background accademico in lettere (BA e MA), nel 2019 ha iniziato il suo secondo master in Public Art and New Artistic Strategies, sotto la direzione della professoressa Danica Dakic, presso la Bauhaus Universität Weimar.
Ha partecipato a diverse mostre e residenze artistiche in Germania e all’estero (tra cui Ucraina, India, Italia), tra cui la Fondazione Pistoletto.
Le sue opere si trovano in due collezioni pubbliche: Kramators’k Museo d’Arte Contemporanea (UA) e la collezione comunale di Paduli (IT).
Come co-fondatrice e presidentessa del collettivo artistico Intermission Collective e.V., ha organizzato e curato mostre e residenze d’arte.
Per ulteriori informazioni consultare il sito www.fondazionefossoli.org, la pagina Facebook e il profilo Instagram Fondazione Fossoli.