Un trapianto di fegato con prelievo a cuore fermo che ha permesso di salvare una vita e che è stato possibile grazie alla stretta collaborazione tra l’Ospedale Ramazzini di Carpi, gestito dall’Azienda USL di Modena, con l’Ospedale Civile di Baggiovara e con il Policlinico di Modena. Un’ulteriore conferma del fatto che la presenza di una rete provinciale e regionale può rendere efficiente e immediato l’intero processo di trapianto a tutto vantaggio dei pazienti in lista d’attesa.
Il trattamento pre-prelievo, che ha coinvolto il personale della Terapia Intensiva diretta dalla dottoressa Elisabetta Bertellini, e il prelievo del fegato sono stati effettuati alcuni giorni fa all’Ospedale Civile di Baggiovara. Il trapianto del fegato, invece, si è tenuto al Policlinico di Modena, ad opera dell’equipe della Chirurgia dei Trapianti, diretta dal professor Fabrizio Di Benedetto, Direttore della Chirurgia Oncologica, Epato-bilio-pancreatica e dei Trapianti di fegato. La donazione è avvenuta grazie alla generosità della famiglia del donatore.
Come spiega il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena, Claudio Vagnini, “all’estero il prelievo di organi a cuore fermo è una prassi molto diffusa, mentre in Italia è praticata ancora soltanto in un numero molto limitato di centri dotati di competenze e tecnologia adeguate alla complessità della procedura. L’AOU di Modena è uno di questi centri e come tale conferma ancora una volta la sua propensione all’innovazione continua e alla specializzazione in procedure multidisciplinari e complesse come quella di cui stiamo parlando”.
Il prelievo a cuore fermo avviene nel caso di pazienti donatori nei quali viene documentata morte cardiaca, certificata secondo quanto stabilito dalla legge italiana ovvero 20 minuti di assenza di attività cardiaca. In questi pazienti, la funzionalità degli organi viene mantenuta grazie all’assistenza cardiocircolatoria extracorporea (ECMO), applicata immediatamente dopo l’accertamento di morte. Come spiega la dottoressa Bertellini, “si tratta di una procedura clinico-chirurgica di alta complessità che richiede un elevatissimo livello di collaborazione tra strutture e discipline diverse, vale a dire Terapia Intensiva, Chirurgia dei Trapianti, Laboratorio analisi, Ingegneria clinica”.
“Il trapianto di un organo con donatore proveniente da un altro ospedale del territorio – afferma la dottoressa Enrica Becchi, coordinatore locale trapianti Area Nord, dell’UOC di Anestesia e Rianimazione di Area Nord (Ospedali di Carpi e Mirandola) – mette in evidenza ancora una volta l’importanza della presenza di una rete in cui anche le strutture ospedaliere periferiche (rispetto ai centri dove vengono poi effettuati i trapianti) rivestono un ruolo fondamentale nel procurement di organi e tessuti. La stretta collaborazione tra le aziende sanitarie, unita alla professionalità e alla competenza degli operatori, rende funzionale e operativo l’intero processo, a vantaggio dei pazienti in attesa di trapianto. Allo stesso tempo la presenza di professionisti appositamente formati consente il coinvolgimento delle famiglie che purtroppo vivono il dolore della perdita di un proprio congiunto in una scelta così generosa e così preziosa come quella della donazione”.
Come sottolinea il professor Fabrizio Di Benedetto, che ha eseguito il trapianto del fegato nel Centro Trapianti del Policlinico, “in questi casi, la necessità di essere veloci e l’impossibilità di programmare, condizioni insite nel processo di trapianto, in questo caso assumono un significato rinnovato, perché il periodo di osservazione del donatore è brevissimo. Tutte le decisioni vanno prese in pochi minuti, con la conseguenza che tutte le strutture coinvolte sono chiamate a un notevole sforzo organizzativo. Ma ne vale decisamente la pena: questi fegati dopo il prelievo vengono perfusi con una macchina che li ossigena a pressione e temperature controllate che rigenerano le cellule epatiche e quindi hanno le stesse chance di successo di quelle degli organi prelevati a cuore battente”.