«Negli ultimi anni la ricchezza prodotta in regione non si è tradotta in una corrispondente capacità redistributiva all’interno della società emiliano-romagnola. Mentre il Pil ha fatto registrare una variazione media annuale del 2,28% (annualità 2014-17), il reddito pro capite da lavoro dipendente privato dello stesso periodo segna una variazione media annuale dello 0,33%».
Lo dichiara il segretario generale della Cisl Emilia Centrale William Ballotta commentando l’indagine “Redditi da lavoro dipendente in Emilia-Romagna e province” realizzata dalla Cisl regionale con i dati raccolti dal Caf (centro di assistenza fiscale) Cisl Emilia-Romagna attraverso le dichiarazioni dei redditi 2017 e 2018.
Si tratta di un campione significativo da un punto di vista statistico in quanto comprende 133 mila lavoratori dipendenti in tutta la regione. Dall’analisi emergono quattro fattori che rappresentano altrettanti “freni redistributivi”: il basso reddito dei giovani, il basso reddito erogato da alcune tipologie contrattuali che non garantiscono prestazioni continuative, il basso reddito delle donne, un’azione contrattuale delle parti sociali (sindacati e imprese) non del tutto efficace.
Nel dettaglio cosa emerge dall’indagine Cisl.
Reddito medio
Secondo i dati Caf Cisl, la retribuzione media pro capite dei lavoratori dipendenti a Modena è 23.559 euro lordi annui (in Emilia-Romagna 23.024 euro). Per l’Inps, invece, la retribuzione pro capite da lavoro dipendente in provincia di Modena ammonta a 24.982 euro e nel periodo 2014-2017 è aumentata dell’1,97%. La fascia di reddito più rappresentata è quella tra i 20 e 25 mila euro lordi. Il 22% dei 35-39enni ha un reddito al di sotto dei 25 mila annui (fonte Inps anno di rif. 2017).
Reddito giovanile
Se guardiamo i giovani, il dato peggiora. Tra i 20-24enni, infatti, il 49,85% ha un reddito pro capite annuo di 8.798 euro. Per un 20-24enne la media pro capite anno del reddito da lavoro dipendente è 11.609 euro, cioè la metà della retribuzione media pro capite regionale. Il fenomeno non si spiega solo con l fatto che ai giovani si applicano tipologie contrattuali più svantaggiate. I 20-24enni che hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato, infatti, percepiscono una retribuzione media pro capite pari a 14.599 euro l’anno, pari al 52% in meno della retribuzione pro capite annuale percepita in regione dai lavoratori dipendenti più anziani e ugualmente assunti a tempo indeterminato.
Incidenza delle tipologie contrattuali discontinue
Altro fattore determinante nelle retribuizioni dei lavoratori dipendenti sono le tipologie contrattuali. Nel 2017 i contratti a tempo determinato hanno garantito una retribuzione pro capite media regionale di 10.705 euro agli oltre 324 mila lavoratori coinvolti, mentre chi è assunto a tempo indeterminato ha una retribuzione pro capite media regionale di 28.038 euro annui. Il tempo determinato, quindi, ha retribuzioni mediamente più basse del 38,18% rispetto al tempo indeterminato e del 46% rispetto alla media reddituale pro capite complessiva. «Queste disparità si spiegano innanzitutto con riconoscimenti più modesti di professionalità e, quindi, sottoinquadramenti – spiega il segretario Cisl – Tuttavia, la ragione non è solo questa. Nell’anno, a parità ipotetica di lavoratori coinvolti, i lavoratori a tempo determinato quantificano un reddito complessivo, e quindi anche un reddito medio, più basso a causa della discontinuità dei loro rapporti di lavoro».
Retribuzioni orarie e retribuzione femminile
L’analisi Cisl relativa alle retribuzioni rivela altri due elementi negativi. La retribuzione oraria modenese per giornate medie retribuite nell’anno (12,16 euro) è positiva se comparata alla retribuzione oraria nazionale (11,21 euro) e a quella regionale (11,73 euro), ma nettamente inferiore a quella dei Paesi dell’area euro più avanzati, come Germani e Francia (intorno ai 15 euro/ora). In più c’è la distanza tra uomini e donne: la retribuzione oraria maschile (13,84 euro) è più alta del 41% rispetto a quella femminile (9,80 euro).
A lavoratori piace il welfare aziendale
Uno strumento per alzare il reddito dei lavoratori dipendenti è la cosiddetta “contrattazione decentrata o “di secondo livello” (aziendale e/o territoriale), che determina erogazione di salario integrativo o welfare contrattuale, godendo tra l’altro di una tassazione agevolata.
Il problema è che la contrattazione di secondo livello non raggiunge in modo adeguato l’intera platea dei lavoratori. A livello regionale, per esempio, coinvolge solo il 17,51% dei lavoratori dipendenti, anche se nel 2017 si è registrato un aumento dell’1,62% rispetto al 2016. La provincia di Modena è sotto la media regionale: nel 2017 era del 16,67% del totale la percentuale dei lavoratori con contrattazione di secondo livello (nel 2016 era solo il 12,66%).
Il premio di risultato (tipica conquista sindacale ottenuta attraverso la contrattazione aziendale) ha un’incidenza dello 0,84% sul reddito da lavoro dipendente annuo complessivo. L’incidenza a Modena è comunque più alta rispetto al dato medio regionale (0,81%, secondo le risultanze dell’indagine campionaria della Cisl Emilia-Romagna).
Nel 2017 il premio di risultato medio pro capite a tassazione agevolata erogato a Modena è stato di 1.191 euro (l’anno prima era stato 975 euro, contro il dato regionale di 1.073 euro e 920 euro rispettivamente negli anni 2017 e 2016).
Interessante notare l’aumento dei lavoratori dipendenti beneficiari di contrattazione di secondo livello che scelgono di “welfarizzare” il salario integrativo (cioè di trasformarlo in servizi scolastici, mense, borse studio, assistenza). L’indagine della Cisl Emilia-Romagna ci dice che nel 2017 sono stati l’8,41% (5,9% nel 2016) i lavoratori modenesi dipendenti beneficiari di salario integrativo aziendale che hanno scelto l’opzione welfare, cioè la trasformazione del salario integrativo in servizi di welfare aziendale.
Il montante economico complessivo di welfare aziendale erogato al campione della ricerca (che rappresenta circa il 9,55% del totale lavoratori percettori di salario integrativo in regione) supera a Modena i 280 mila euro (anno di riferimento 2017). Il montante economico complessivo di welfare aziendale erogato al campione della ricerca nello stesso anno in Emilia-Romagna sfiora il milione e mezzo di euro.
In regione i lavoratori dipendenti che optano per la “welfarizzazione” sono, invece, il 4,18% del totale lavoratori che hanno in “dote” salario integrativo aziendale.
Ballotta: “Puntare su estensione contrattazione decentrata, salario produttività e qualità lavoro”
«Dopo aver abbassato drasticamente la disoccupazione (nel secondo trimestre 2019 è scesa al 4,8% in Emilia-Romagna), ora dobbiamo alzare stipendi e salari. Come? Attraverso la contrattazione decentrata (aziendale e/o territoriale), il salario di produttività e la qualità del lavoro».
Lo afferma il segretario generale della Cisl Emilia Centrale William Ballotta a proposito dell’indagine sul reddito dei lavoratori dipendenti realizzata dalla Cisl Emilia-Romagna.
«Oggi l’obiettivo della nostra azione sindacale è redistribuire più equamente la ricchezza adeguando salari e qualità del lavoro. Grazie alla contrattazione collettiva, tra Modena e Reggio nel 2017 abbiamo distribuito ai lavoratori più di 90 milioni di euro. Ora il passo successivo – spiega Ballotta – è oltrepassare, specie in una regione come la nostra, la soglia del 17,51% di lavoratori intercettati da accordi economici territoriali. Solo attraverso un patto condiviso tra imprese e lavoratori si potrà incidere sulla produttività, che è la vera spina nel fianco del sistema produttivo italiano, e indirizzarsi con decisione verso l’incremento del salario di produttività: quello medio oggi è di 1.072,81 euro, vale a dire appena il 4,6% del salario medio regionale.
Il suo sostanziale incremento – prosegue il segretario Cisl – potrebbe soddisfare le esigenze delle imprese, in quanto proporzionato al loro andamento reddituale e produttivo, rispondere ai bisogni dei lavoratori, visto che sarebbe una quota interessante di stipendio superiore all’aumento retributivo del contratto nazionale legato all’andamento inflattivo, sostenere l’economia in generale perché metterebbe nella disponibilità delle famiglie una maggiore capacità di spesa».
Quanto al salario minimo orario di cui discutono da tempo le forze politiche, per evitare che si riveli un surrogato debole della contrattazione Ballotta auspica un confronto serio tra governo e parti sociali. «Il salario minimo per noi sono i minimi tabellari dei contratti nazionali. La paga oraria non è rappresentata soltanto dai 9 euro o i 10 euro o gli 11 euro, ma è un insieme di voci: tredicesima, quattordicesima, diritto alla formazione, welfare aziendale. Il tema del salario minimo va affrontato tenendo conto di una molteplicità di fattori che mi sembrano sottovalutati.
Se non affrontiamo questo tema con cognizione – conclude il segretario generale della Cisl Emilia Centrale – rischiamo di creare condizioni svantaggiose per molti lavoratori e molte lavoratrici».