Il 73° anniversario della Liberazione che festeggiamo oggi, assume quest’anno ancora maggior significato grazie al dispiegarsi di una serie di ricorrenze storiche attraverso le quali stiamo rivedendo in controluce tutto il secolo che – sembra ieri, anche se è già trascorso il tempo che consegna ognuno di noi all’età adulta – ci siamo lasciati alle spalle. Abbiamo aperto questo 2018 festeggiando i 70 anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione – che precedette le elezioni del primo Parlamento repubblicano, anniversario celebrato proprio una settimana fa – e lo chiuderemo con il centenario della fine del primo conflitto mondiale. Nel mezzo, abbiamo ricordato – con inquietudine e sofferenza – gli 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali, prodromo del più vergognoso crimine contro l’umanità della storia.
Attraverso il succedersi di queste ricorrenze stiamo rivivendo l’intero Novecento, di cui si evidenziano le giornate gloriose e le conquiste, ma anche gli errori e gli orrori, di quello che non a caso è stato definito il “secolo breve”, per l’accelerazione sempre più esasperata impressa agli eventi della storia e alle trasformazioni, nel bene e nel male, nella vita degli uomini.
Lo facciamo attraverso le pagine che sono state scritte da tanti rilevanti personaggi, ma anche con il sacrificio di donne e uomini comuni. Come coloro, moltissimi giovani, che caddero durante la Resistenza e a cui oggi va il nostro pensiero. Un pensiero – che alla commozione unisce la gratitudine – verso tutte le persone che in quei giorni di 73 anni fa, per dirla con le parole di una bella poesia di Ungaretti, chiusero gli occhi alla luce “perché tutti li avessero aperti per sempre alla luce”.
Di fronte alla imprescindibile necessità di attualizzare, in relazione alle complessità del tempo che viviamo, il portato storico di ogni ricorrenza, a partire da quella della Liberazione, non possiamo allora esimerci dal chiederci se abbiamo davvero aperto per sempre gli occhi alla luce; se stiamo onorando la memoria di donne e uomini che, anche in questa terra, hanno sacrificato la loro vita per consegnarci la libertà e la democrazia; se stiamo dando pieno compimento a ciò che di straordinario questa libertà e questa democrazia hanno generato nel tempo, a partire, appunto, dalla Costituzione della Repubblica Italiana, dai principi ineludibili su cui si fonda la nostra società civile.
Penso a un valore assoluto come la pacificazione universale, negata ancora oggi in ancora troppe parti del mondo da conflitti e terrorismo. Con la Resistenza fu scelto, 73 anni fa, di stare dalla parte della pace e contro l’oppressione. Ma oggi – dalla Siria al Congo – ancora troppi conflitti turbano il mondo. Non è solo sui grandi scenari internazionali che dobbiamo pretendere la pace: anche noi, nel nostro agire quotidiano, dobbiamo opporci con coerenza a ogni tensione e oppressione. E’ necessario praticare la pace nei rapporti personali, così come in quelli virtuali dei social. Nelle nostre case, nei luoghi di lavoro: voi ragazzi nelle vostre scuole, comportandovi con rispetto nei confronti dei vostri insegnanti e dei vostri compagni. Perché anche il bullismo è una deplorevole forma di oppressione.
Penso anche ai principi fondamentali sanciti dai primi articoli del dettato costituzionale. L’articolo 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, richiedendoci al contempo di adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. E l’articolo 3, che ci ricorda che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione alcuna.
Perché oggi dobbiamo sì celebrare e ricordare la Resistenza, ma soprattutto ogni giorno, ognuno di noi – e a maggiore ragione chi è chiamato a guidare pro tempore le nostre istituzioni – è chiamato a inverare il portato ideale di quella memorabile stagione.
A quel dovere inderogabile di solidarietà finalizzata ad affermare la pari dignità di ogni cittadino cui ci richiama la Costituzione, siamo tenuti anche in questa epoca di complessità e di trasformazioni. Non dobbiamo dimenticare e non possiamo ignorare, anche in questo giorno di festa, il permanere di elementi di disequilibrio sociale prodotti dalla lunga crisi che abbiamo alle spalle, per altro nella stagione della grande mobilità internazionale di persone in fuga da paesi in guerra, regimi dittatoriali e situazioni di povertà, che solo chi ha fatto esperienze di cooperazione internazionale può forse comprendere appieno.
Così come non possiamo sottacere certi inquietanti segnali che ancora oggi, in modo velato o più evidente, ci giungono da chi cerca di reintrodurre il tema della distinzione tra le persone, da chi tenta di assuefarci ad un pensiero pervasivo che potrebbe produrre effetti non troppo distanti da quelli che 80 anni fa portarono alle leggi razziali, a quella classificazione degli uomini che rappresenta l’esatto contrario del principio basilare del nostro vivere comune fissato appunto dall’articolo 3 della Costituzione.
Io credo che la nostra città e la nostra provincia siano state, sino ad oggi, sostanzialmente in grado di reggere con maturità gli effetti della complessa stagione attuale, grazie a una capacità di inclusione e di accoglienza vera che è tratto distintivo di questa comunità. Ma sono altresì convinto che occorra tenere alta la guardia e che istituzioni, forze politiche, associazioni e singoli cittadini, si impegnino a raccogliere compiutamente il testimone ideale della Resistenza e della Liberazione, nella consapevolezza che l’affermazione costante della democrazia porta con sé l’assunzione di responsabilità individuali e collettive che costituiscono la coscienza civile di un popolo e di una nazione.
Per questo è bello e fondamentale avere qui oggi i giovani e far comprendere loro che non stiamo dando semplicemente
voce ad una pagina di storia che si studia a scuola, ma stiamo ricordando la nascita dell’Italia libera, democratica e repubblicana ed al contempo rinnovando il riconoscimento dei valori che sono alla base della nostra Costituzione.
Sono ragazzi che hanno partecipato ai Viaggi della memoria; ne ho compiuti diversi anche io per accompagnare studenti in una di quelle esperienze che devono diventare traccianti nei loro percorsi di vita. L’ho fatto anche quest’anno a Berlino, con gli alunni dell’Istituto comprensivo di Poviglio e Brescello, e a Cracovia e ad Auschwitz-Birkenau, con 250 ragazzi delle scuole superiori, per la prima volta insieme al sindaco di Reggio Emilia Vecchi, al vescovo Massimo, al rabbino Goldstein e all’imam Yosif El Samahy. Un’occasione davvero unica di conoscenza e di condivisione – a testimonianza della volontà di una intera comunità nel ricercare il dialogo a prescindere dalle differenze – per riflettere sul passato e comprendere che persone vorremo essere domani.
“Tutti insieme per non dimenticarsi di quando l’uomo ha dimenticato se stesso”, ha affermato in quella occasione l’imam.
Non dobbiamo dimenticarlo.
E facciamo in modo che il ricordo di quella stagione di Resistenza e Liberazione – così come i sorrisi e la gioia con cui, come ci ha mirabilmente descritto Alessandro Galante Garrone, la sua Torino accolse il 25 aprile 1945 – “segretamente illumini, in qualche modo, quel che di meglio è in ognuno di noi”.
Viva la Resistenza! Viva il 25 Aprile! Viva l’Italia!
(Giammaria Manghi, Presidente della Provincia di Reggio Emilia)