Dalla città dei bambini è toccato a Vanna Iori in occasione della Giornata Internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a intervenire sul tema facendo il punto di un’amara situazione. Con due milioni di bambini e adolescenti in condizioni di povertà, l’Italia è agli ultimi posti in Europa nei principali indicatori relativi al benessere e ai diritti dell’infanzia. Che vuol dire per un bambino essere povero? Significa nutrirsi male non andare a scuola e non sapere leggere, non aver accesso alla prevenzione o alle cure sanitarie. Ma vuol dire pure lavorare con sfruttamento fisico e psicologico, essere abbandonato sulle strade, o indotto alla prostituzione o all’accattonaggio, essere vittima di abuso sessuale, fare uso di droghe senza saperlo.

Essere poveri vuol dire anche crescere senza spazi per giocare, cortili e aree verdi per lo sport, non conoscere vacanze, libri, cinema, luoghi di aggregazione educativa. Meno di 2 bambini su 10 frequentano un asilo nido.I motivi? I più vari:genitori disoccupati o con lavori temporanei e contratti atipici; famiglie numerose monoreddito o monoparentali (prevalentemente madri sole) di migranti.

Cosa fa l’Italia? E’ il Paese in Europa che investe meno: solo l’1,1% del Pil, meno della metà di quanto accade in Francia, Austria o Inghilterra.

Eppure ci sono le leggi che tutelano i minori, a partire dalla 285 del 1997. Ma è necessario che venga rifinanziata in modo adeguato, attraverso un efficace piano di contrasto alle povertà minorili.

“Le nostre politiche socio-educative sono ancora carenti e frammentarie-sostiene nel suo intervento Vanna Iori – occorre fare servizi integrati, alcuni mirati ai bambini (per esempio custodia educativa, assistenza sanitaria preventiva, mense scolastiche, attività ricreative), altri diretti alle famiglie (attraverso gli alloggi dell’edilizia popolare, il sostegno al reddito o politiche di conciliazione dei tempi)”.

“Poi ci vogliono interventi precoci, l’istruzione prescolastica e il prolungamento del tempo scuola importanti per compensare gli svantaggi socioeconomici famigliari”.

“Occorre creare delle reti di associazioni di volontariato del welfare solidale, fondato su un mix di risorse economiche e relazionali che danno vita al Welfare di Comunità”.

Esistono poi nuove povertà di relazioni, di educazione:pensiamo ai figli nelle separazioni di coppia: il 60% ha un’età inferiore a 11 anni: in molti casi diventano strumenti di vendette e rancori di coppia, lacerati dai conflitti delle alleanze e delle ostilità.

Un secondo esempio riguarda la prostituzione minorile, dove è difficile stabilire il confine tra povertà economica e degrado culturale e morale: dei quasi 6.500 minorenni stranieri non accompagnati, una percentuale rilevante si allontana immediatamente dalle comunità di accoglienza, andando a vivere in case o fabbriche abbandonate o per strada, esposti a varie forme di sfruttamento e prostituzione.

Anche la prostituzione di minorenni italiane è in forte crescita, in modo coatto o autonomo, come supporto economico per sé o per il proprio nucleo.

E per concludere voglio sottolineare il ruolo decisivo del lavoro educativo che sappia accendere di senso l’esistenza dei bambini e degli adolescenti. La povertà minorile non e’ solo un fenomeno inaccettabile dal punto di vista etico e della violazione dei diritti, ma è anche una pesante ipoteca sul destino di centinaia di migliaia di bambini e bambine nonché sul futuro dell’intero Paese.

Vivere nella società dell’incertezza espone a continue occasioni di insicurezza esistenziale. In una società “presentificata” la dimensione progettuale è difficile. Una sorta di furto di futuro sta derubando bambini e adolescenti di prospettive ed opportunità.

Occorre quindi ottimizzare le risorse in campo ed evitare sprechi dovuti a inutili parcellizzazioni o duplicazioni. Ma soprattutto occorre una volontà politica forte e illuminata affinché quel sistema formativo integrato che ancora si presenta come un arcipelago di isole diventi una solida rete dove tutti i soggetti coinvolti nelle responsabilità educative, siano davvero attori politici.

I servizi educativi possono porsi come attivi promotori di cambiamento, contrastare l’individualismo, rompere l’isolamento dei genitori, creare legami solidaristici, promuovere costruzione di fiducia nelle famiglie e tra le famiglie. Perché l’educazione non è una questione privata. È sempre politica e pubblica. E non si ha un autentico prendersi cura educativo, se non si cerca di costruire e mantenere desta la responsabilità sociale condivisa.