Nessun quartiere ghetto, riqualificazione (vedi l’area vicino alla stazione di Reggio Emilia) delle aree degradate, sostegni mirati alle famiglie, progetti (come a San Donato a Bologna) per prevenire i fenomeni del bullismo o recuperare i giovani che si sono allontanati dalla giusta strada.

In questi anni la Regione Emilia-Romagna non ha sottovalutato il pericolo derivante dalle marginalità giovanili. E i risultati confermano che l’impegno di viale Aldo Moro ha dato i suoi frutti. Lungo la via Emilia infatti l’allerta per il diffondersi del fenomeno delle “bande giovanili” resta alto, ma non c’è emergenza.

Questo è il quadro che emerso questa mattina nel corso de “Le esperienze europee di devianza giovanile negli spazi pubblici”, seminario di studio organizzato nell’ambito del progetto europeo «EU Reco Street Violence», finanziato dalla Commissione Europea con il Programma DAPHNE III, e promosso dal Forum Europeo per la sicurezza urbana con la partecipazione dalla Regione Emilia-Romagna.

Durante il seminario è stata presentata una prima ricerca sul fenomeno bande giovanile da cui è emerso uno spaccato interessante del fenomeno: sul territorio regionali ci sono molte aggregazioni di giovani, ma quelle realmente classificabili come “baby gang” si contano sulle dita di una mano e soprattutto sfatano gli stereotipi che vorrebbero questi fenomeni a totale appannaggio di giovani stranieri visto che le “bande” sono composte in modo paritetico da italiani e da figli di stranieri, l’uso di sostanze stupefacenti riguarda i singoli componenti delle bande e non è un elemento caratterizzante dell’appartenenza al gruppo, non esiste un forte legame tra gruppo e territorio, e i giovani più che atti criminali sono responsabili di comportamenti deviati come schiamazzi dovuto all’abuso di alcol.

“Negli ultimi 15 anni la Regione ha puntato molto sulla prevenzione e sulla riqualificazione degli spazi come deterrente al rischio”, spiega Simonetta Saliera, vicepresidente e assessore alle Politiche per la Sicurezza della Regione Emilia-Romagna, che ha ricordato come “Le politiche educative, in particolare quelle attinenti alla scuola dell’obbligo, dove rappresentano fondamentali processi di socializzazione, di integrazione e di introiezione di regole condivise, basi fondamentali per acquisire una idea condivisa di legalità”.

Tra gli altri interventi che, numeri della ricerca alla mano, hanno permesso di tenere basso il rischio “baby gang”, Saliera ricorda: “le politiche di sostegno ai nuclei familiari disagiati, le politiche urbanistiche volte ad evitare la formazione di quartieri-ghetto, le politiche sociali per creare luoghi di incontro ed attività per gli adolescenti, le politiche in ambito scolastico per favorire l’acquisizione del capitale umano e professionale necessari per l’inserimento nel mondo del lavoro, le politiche di controllo e la repressione della devianza giovanile”.