Il referendum per cui saremo chiamati a votare il 21 giugno comprende tre quesiti che mirano ad abrogare in parte l’attuale legge elettorale per le elezioni politiche. Come noto, quando l’oggetto del referendum è una legge elettorale, la Corte Costituzionale stabilisce che il quesito referendario non possa prevedere l’abrogazione per intero della legge poiché è necessario garantire sempre il rinnovo delle assemblee elettive.
Il primo e il secondo quesito hanno la stessa struttura e lo stesso obiettivo: eliminare la possibilità di attribuire il premio di maggioranza alle coalizioni di liste. In tal modo il premio di maggioranza potrebbe essere attribuito solamente alla lista che ha ottenuto il maggior numero di consensi. Nel caso della Camera (primo quesito) si avrebbe un premio consistente in 340 seggi, con una soglia di sbarramento di fatto del 4% per tutti, per il Senato (secondo) il 55% dei seggi in palio in ciascuna regione, con una soglia dell’8%. In tal modo si va nella direzione di rafforzare la struttura bipolare del nostro sistema, con il rischio, però, di scivolare nel bipartitismo verso il quale confermiamo la nostra contrarietà.
Il terzo quesito è sicuramente per noi il più importante, perché interviene sulle modalità di presentazione delle candidature, eliminando le cosiddette candidature multiple, che permettono ai candidati più noti di presentarsi in tutte le circoscrizioni, consentendo loro successivamente di optare per l’una o per l’altra a seconda di equilibri partitici che non riguardano il rapporto con gli elettori. Nel 2008 121 deputati sono entrati alla Camera grazie a questo sistema. Questo quesito mira in maniera chiara alla reintroduzione del sistema uninominale, che garantisce il rispetto della volontà dell’elettore nella scelta degli eletti. I tre quesiti referendari, in particolare i primi due, non vanno comunque nella direzione di una vera riforma elettorale che ripristini il rapporto di responsabilità e fiducia tra eletti ed elettori. Ciononostante siamo convinti che la scelta del sì, soprattutto al terzo quesito, permanga il modo più efficace per sollecitare il Parlamento a legiferare in materia.
Le Acli, come noto, fin dall’inizio sono state tra i promotori del referendum; storicamente non hanno mai fatto mancare il loro appoggio e sostegno ad iniziative di questo tipo che mirassero a rendere più stretto il rapporto tra eletti e cittadini. Le Acli ribadiscono la convinzione che le spinse ad aderire al comitato nazionale dei promotori: la necessità di dotarsi di una nuova legge elettorale adeguata al tempo di oggi, che valorizzi il voto dell’elettore e la responsabilità dell’eletto in rapporto al territorio, esaltandola come parametro di una democrazia autenticamente compiuta. Questa strategia si potrebbe riassumere con uno slogan: votare sì, per impegnare il Parlamento per una nuova legge elettorale.
Con questo slogan intendiamo confermare la scelta di allora sottolineando, al di là dell’esito del referendum, l’urgenza di lavorare per una nuova legge elettorale che, per le Acli, costituisce un obiettivo prioritario, in quanto restituisce al Parlamento e alla democrazia rappresentativa il ruolo centrale nel processo delle riforme istituzionali. E’ il Parlamento, infatti, il luogo che meglio garantisce il più ampio confronto delle culture politiche presenti nella società e nel Paese. Approvare una nuova legge elettorale capace di riallacciare il circuito della rappresentanza con quello del territorio, valorizzando il voto dei cittadini rispetto all’assunzione di chiare responsabilità degli eletti, ritornando a dare un senso agli art. 48 e 49 della nostra Costituzione, è l’obiettivo che le Acli porranno al Parlamento ed alle forze politiche e sociali sin dal giorno successivo ai risultati referendari.