L’assessora con delega alle Pari opportunità del Comune di Reggio Emilia Natalia Maramotti è intervenuta questa mattina alla conferenza stampa di presentazione dei dati Anmil relativi agli infortuni sul lavoro delle lavoratrici dell’Emilia-Romagna.

“La distinzione di genere – ha detto l’assessora Maramotti – è un tema purtroppo ancora assente nel quadro normativo nazionale, nonostante sia un fattore distintivo di grande rilevanza, anche in relazione all’importante valore dell’attività di cura che le donne svolgono ancora oggi nel nucleo familiare. Quando una lavoratrice incorre in una inabilità, il danno non è solo per la persona ma anche per la famiglia: per questo ci auguriamo che questa problematica venga al più presto presa in considerazione e si possa quindi colmare un vuoto normativo”.

Alla conferenza stampa erano presenti la vice presidente di Anmil Reggio Emilia Donatella Consolini, che ha illustrato i dati regionali sugli infortuni delle lavoratrici, e Cinzia Marchesi, che ha invece portato la sua personale testimonianza come lavoratrice infortunata.

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L’evoluzione del fenomeno infortunistico nell’ultimo quinquennio si è sviluppata sostanzialmente in linea con la dinamica economica caratterizzata, in questo periodo, da una lenta ma costante uscita dalla crisi, i cui primi segnali si sono cominciati ad avvertire proprio a partire dal 2013 fino a rafforzarsi e consolidarsi nel 2017. In questo ultimo anno, infatti, i dati relativi ai principali indicatori macroeconomici risultano molto incoraggianti: PIL in crescita dell’1,5%, Produzione industriale di ben il 3% e l’incremento dell’occupazione che si stima superiore all’1%.

La ripresa dell’economia, se da una parte rappresenta innegabilmente un fatto molto positivo, dall’altro tuttavia ha contribuito ad attenuare di molto quell’intenso calo di infortuni sul lavoro determinato dalla profonda crisi economica, iniziata nel 2008 che, producendo un forte taglio di produzione e lavoro (sia in termini di occupati che di ore lavorate), aveva sensibilmente ridotto l’esposizione al rischio e quindi gli infortuni stessi.

A livello nazionale e generale, a fronte di un calo infortunistico di circa il 20% registrato nel quinquennio 2008-2012 (anni acuti della crisi), la flessione del successivo quinquennio 2013-2017 (anni di avvio e consolidamento della ripresa) è stata appena dell’8%.

La crisi, come noto, aveva colpito in misura devastante soprattutto le attività industriali, in particolare quelle manifatturiere, dove la presenza maschile è nettamente prevalente; per le lavoratrici, invece, che risultano occupate per lo più in attività terziarie la crisi ha avuto un impatto poco rilevante facendo registrare cali infortunistici analoghi e di modesto rilievo sia nel primo che nel secondo quinquennio (-5/6%).

Nella regione Emilia Romagna il calo degli infortuni femminili nel quinquennio 2013-2017 è stato quasi uguale a quello registrato dalle lavoratrici a livello nazionale. La flessione infatti risulta pari al 7%, ma l’aspetto più significativo è che ha riguardato in modo particolare gli infortuni avvenuti in occasione di lavoro (-7,8%), mentre gli infortuni in itinere, che non sono strettamente legati all’attività lavorativa svolta, hanno segnato un calo di appena il 3,5%.

Come possiamo notare, invece, gli infortuni mortali femminili, dopo le 10 unità del 2013, il valore più basso del quinquennio, hanno avuto un picco di 21 unità raggiunto nel 2014, fino alle 15 nel 2017; il trend, comunque, si è mantenuto costantemente sulla media di una quindicina di casi l’anno.

Come gran parte delle regioni italiane, anche in Emilia Romagna il settore di attività economica in cui si riscontra la maggiore incidenza infortunistica femminile è quello della Sanità ed assistenza sociale; in questo settore si concentra, infatti, il 12,3% di tutti gli infortuni occorsi alle lavoratrici emiliane. Va segnalato, a tale proposito, che la Sanità è uno di quei settori (pochissimi) in cui l’incidenza infortunistica femminile è superiore a quella maschile, sia in termini assoluti che relativi; vale a dire che non solo gli infortuni femminili sono il 75% circa del totale, ma che, rapportando il numero degli infortuni occorsi a ciascuno dei due sessi alle rispettive forze-lavoro impegnate, si ottengono indici di frequenza pari a circa 37 infortuni per mille occupati per le donne e pari a 33 per gli uomini. In pratica la donna della Sanità ha un rischio di infortunio superiore de 12% rispetto a quello del suo collega maschio. E’ l’Infermiera l’operatrice più colpita in assoluto da infortuni tra tutte le innumerevoli figure professionali che operano nella sanità o nell’ambito dell’assistenza sociale: ogni anno le Infermiere subiscono oltre il 32% del totale degli infortuni occorsi alle lavoratrici del settore. In pratica una infortunata su tre è Infermiera.

Incidenze infortunistiche consistenti si riscontrano anche per le lavoratrici dell’Industria manifatturiera (9,1%), del Commercio (6,7%), della Ristorazione (6,1%), dei Servizi alle imprese (4,7%, in particolare servizi di pulizia) e della Pubblica amministrazione (3,9%).  Molto ridotta la quota di donne infortunate nell’Agricoltura (2,9%), un settore che prosegue un po’ ovunque nel Paese nel suo storico inesorabile ridimensionamento.