A seguire il discorso del sindaco della Città metropolitana e del Comune di Bologna, Virginio Merola che ha concluso questa mattina i lavori del Consiglio congiunto dei due Enti tenutosi a Palazzo Malvezzi in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che si celebra domani 25 novembre.

“Nove omicidi di donne nel 2017 in Emilia Romagna, l’ultimo pochi giorni fa. Un omicidio che non è avvenuto nella nebbia, come ho letto da qualche parte, ma in casa, nel luogo più condiviso e diventato paradossalmente più insicuro.
Siamo qui anche quest’anno a riflettere e condividere pensieri e azioni contro la violenza contro le donne e sono molto contento che accanto a me sieda il Sindaco di Budrio perché, caro Maurizio, se come istituzioni diamo un messaggio di unità sarà anche più efficace portare avanti politiche di contrasto ed è necessario, e lo facciamo oggi, che tutte le istituzioni e le forze politiche siano in grado di essere unite su queste azioni.
Il nostro è un territorio ricco di reti e di associazioni dove le istituzioni si sono poste questo tema arrivando anche ad assumere decisioni importanti come il Protocollo che abbiamo condiviso lo scorso 9 marzo assieme alla Prefettura, alle Forze dell’Ordine, a Procura e Tribunale e a tutti i soggetti che lavorano sull’indispensabile battaglia contro la violenza sulle donne. La settimana scorsa abbiamo inaugurato il centro Senza Violenza che ha l’obiettivo di dare ascolto agli uomini violenti che chiedono aiuto e in questi giorni 40 agenti della nostra Polizia Municipale sono impegnati in un corso di formazione che li farà diventare parte della prima Unità per la tutela delle fasce deboli che abbiamo voluto per dare una risposta ancora migliore sia in termini di repressione ma, ancora di più, in termini di prevenzione. Approfitto anch’io di questo passaggio per ringraziare il personale impegnato nel sostegno alle donne vittime di violenza e per il loro lavoro qualificato.
Tutto questo non basta perché gli omicidi continuano eppure lo sforzo è necessario perché dobbiamo favorire come è stato detto oggi da più parti un cambiamento culturale.
E allora, lasciatamelo dire, mi piacerebbe non leggere e non sentire più la parola raptus oppure ‘se l’è andata a cercare’ accanto alla notizia di una violenza o di un assassinio di una donna. E non parlo solo dei media ma dei nostri dialoghi, di quello che ancora chiamiamo senso comune. Il rapporto sui femminicidi pubblicato dalla Regione Emilia Romagna, dove la Casa delle donne per non subire violenza raccoglie i dati dell’anno precedente, parla molto chiaro. Le donne uccise sono state 149 e 121 di questi omicidi sono legati alla relazione tra l’uomo e la donna. Quasi 3 su 4 sono stati commessi nell’ambito familiare: 59  donne sono state uccise dal partner, 17 da un ex partner e altre 33 da un parente. Lo vogliamo capire, alla luce di questi numeri, che la parola raptus, mostro e se l’è andata a cercare fanno danno e aggiungono violenza a violenza? Abbiamo bisogno di raccoglierci tutti attorno ad una riflessione cacciando per sempre la comoda spiegazione del malato e del mostro: non è così e non è vero.  Quello che accade ha a che fare con una cultura del potere degli uomini sulle donne, o meglio: del potere maschile sulle donne dove per maschile intendo una concezione del potere come dominio e violenza.

Non è il singolo uomo che è malato, è una patologia sociale che riguarda l’idea della pratica maschile nella nostra cultura. E’ un bel problemino, non ce la caviamo col ricorso al mostro, al raptus o ‘se l’è andata a cercare’, affermazione tra l’altro maschilista. E questa idea del potere come dominio e violenza risponde a una questione semplice: io posso dominarti perché tu senza di me non sei nessuno ma soprattutto io senza questo potere non sono nessuno. Non a caso da settimane leggiamo sulle cronache racconti che ci riportano a questa realtà.
Vorrei leggere con insistenza dal rapporto che ho richiamato poco fa: “…l’uomo uccide la donna che vuole porre fine alla relazione, che ha espresso delle critiche rispetto alle dinamiche di coppia, che lo ha tradito, che è malata, in crisi economica, che non lo ama, che lo ha rifiutato sessualmente, che entra spesso in conflitto e ‘la situazione è diventata insostenibile’ e così via. Le categorie sfociano facilmente l’una nell’altra e riportano alle disparità di genere ereditate dagli stereotipi culturali che modellano gli archetipi del maschile e del femminile. Tutte queste relazioni vedono alla base il mancato riconoscimento e rispetto della parità di genere all’interno del binomio uomo-donna, ragione per cui la ratio del delitto è unica: la donna che prende le distanze dal modello comportamentale socialmente imposto, e che sfugge al controllo della controparte maschile, merita di morire”.

Care consigliere e cari consiglieri questo tema ci coinvolge in prima persona perché, come è evidente, ha a che fare con le relazioni umane e con la capacità che abbiamo nella nostra attività quotidiana di cambiare le carte della cultura che ancora ci pervade. Lo dobbiamo e possiamo fare con coraggio e nel quotidiano, certo: aprendo le scuole ancora di più al tema dell’educazione alle differenze di genere, alla relazione sentimentale e alla sessualità che ancora non entra nelle nostre scuole. Ma lo dobbiamo fare in modo onesto, senza fare finta, senza farci ingannare dal politicamente corretto che porta solo a mettere un po’ di polvere sotto il tappeto. Un discorso onesto sul potere tra gli uomini e le donne non è più rinviabile. Dobbiamo scegliere e sarà una lotta dura tra potere come servizio e come capacità, come poter essere, come poter fare e il potere come violenza e dominio. Sul crinale di questa scelta riusciremo a invertire la rotta, con tenacia e pazienza. Pazienza democratica. Non c’è soluzione semplice, bisogna crescere la cultura e l’educazione perché lo sappiamo, ci piace dirlo ma dobbiamo metterlo in pratica: la non violenza richiede molta forza, perseveranza e passione. Richiede una forza molto più grande rispetto alla violenza e in una democrazia è bene che ci sia un solo monopolio della forza, intesa anche come violenza, quel difficile equilibrio affidato alle nostre Forze dell’Ordine. Ma nella società bisogna praticare la non violenza e quindi non accostare al termine ‘uomo che stupra’ il termine castrazione perché qui di castrata c’è un’idea generale della relazione tra uomo e donna che ha molto a che fare col maschile e quindi riguarda soprattutto gli uomini. Perché la violenza, l’ho già detto, richiede rispetto e dialogo. Ci riguarda tutti e riguarda prima di tutto gli uomini perché prendano parola e posizione contro il maschilismo. Questo richiede una profonda messa in discussione, lo continuo a dire, di un’idea malata di gerarchia che non distingue tra autorità e autorevolezza. C’è un’idea malata di gerarchia che ha molto a che fare con la condizione maschile e che ritroviamo nella vita delle associazioni, dei partiti, come abbiamo visto anche delle chiese e delle religioni. Questo è un tema di fondo, l’importante è che in queste giornate noi veniamo qui sapendo che abbiamo lavorato tutto l’anno e che abbiamo fatto dei passi in avanti e che continueremo a farli con la consapevolezza che in democrazia a problemi complicati si devono dare risposte complicate, senza cercare mostri, senza rispondere alla violenza con la violenza ma scommettendo su una società civile. Grazie, anche per quest’anno!”