Fervono i preparativi e non mancheranno, anzi già si annunciano, colpi di scena a On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017. Fra gli obiettivi della grande mostra, a cura di Luigi Malnati, Roberto Macellari e Italo Rota, che Reggio Emilia dedica – dal prossimo 25 novembre al primo luglio 2018 – alla Via Emilia romana e al suo fondatore Marco Emilio Lepido vi è quello di avvicinare l’archeologia e la storia al grande pubblico, da zero a 99 anni, alla riscoperta delle origini attraverso importanti reperti esposti in prestigiose location museali e sorprendenti contaminazioni che attualizzino il passato in maniera informale e creativa, raccontando il significato della strada consolare nella contemporaneità.

Ecco coinvolti perciò luoghi diversi, diffusi e quotidiani della città, con l’aiuto coinvolgente del cinema (citazioni da famosi film peplum), delle tecnologie più avanzate e della ‘personificazione’ della storia.

 

IL CONSOLE FA IL BIS – Con questo intento, la regìa affida a Marco Emilio Lepido una parte non solo da protagonista, ma anche da ‘suggeritore di scena’: il console, ovvero la sua immagine, si sdoppierà, per diventare testimonial e accompagnatore del pubblico alla mostra.

Una riproduzione fedele – ma con un’opportuna variazione sul tema – della statua settecentesca, che raffigura il console-fondatore nell’atrio d’ingresso del Palazzo del Comune, sarà realizzata con rilievo e modellazione 3D (stampante digitale) e collocata in piazza del Monte, nel cuore di Reggio Emilia, esattamente all’incrocio tra la Via Emilia e via Crispi, che ricalca il tracciato di un’altra strada romana, eccezionalmente obliqua rispetto all’orditura simmetrica del tessuto urbano antico, recentemente riportata alla luce sotto il vicino palazzo Busetti.

Il console in questo caso – è la variazione sul tema – avrà un braccio alzato, a indicare via Crispi, da cui si raggiunge il Palazzo dei Musei, sede principale della mostra.

Realizzata negli studi e laboratori della società Geis – Geomatics engineering innovative solutions, la statua-riproduzione avrà un’altezza di tre metri, il peso di circa otto chilogrammi, sarà fissata su un podio ligneo che la fissa stabilmente a terra; sarà fatta di polistirene espanso sinterizzato con finiture in resine e verniciatura in colori blu e bianco, verrà collocata su una base dotata di epigrafi con riferimenti informativi alla mostra.

Ideatori e immagini di progetto assicurano sin da ora che il console sarà uguale a se stesso, ovvero all’originale settecentesco che tutti incontrano all’ingresso del Municipio: l’aria sorniona e familiare, la postura libera e sciolta, il corpo solido che accenna al movimento nella corazza muscolare portata con disinvoltura a protezione del busto in torsione e l’accentuato avanzamento della gamba.

 

IL RESTAURO DELL’ORIGINALE – Nel frattempo Angela Allini di Opus Restauri sta provvedendo – grazie al contributo del Lions Club Marco Emilio Lepido di Reggio Emilia – al restauro del Marco Emilio Lepido all’ingresso del Palazzo del Comune, ad oggi unico tributo artistico della città al suo fondatore, presente a Reggio Emilia.

Si tratta di una splendida statua virile, abbigliata all’eroica, in stucco, a grandezza più che naturale. La superficie è trattata con una speciale patina che serve a conferire l’aspetto di un monumento in bronzo. Il restauro prevede la pulitura, la stuccatura, la reintegrazione delle lacune con colori reversibili. Viene restaurata completamente anche la decorazione della finta nicchia ‘ad illusionismo’ che corona la scultura.

Sono un ‘giallo’ le origini della statua settecentesca di Marco Emilio Lepido ed è perciò assai difficile la sua attribuzione. Dalla ricostruzione che Elisabetta Farioli, direttore dei Musei Civici, ha svolto in occasione della mostra, si deduce una possibile, non certa, attribuzione dell’opera ad Antonio Bernard, insegnante di plastica e scultura alla Scuola di Belle arti di Reggio Emilia negli ultimi anni del Settecento: gli elementi che caratterizzano la statua, spiega Farioli, “possono fare avvicinare l’opera alle esperienze della scultura francese degli ultimi decenni del XVIII Secolo, sul solco di Jean-Baptiste Pigalle ma con un progressivo avvicinamento alla poetica neoclassica. In particolare per Bertrand, della cui vita e poetica così poco conosciamo, un avvicinamento può essere proposto all’entourage degli scultori particolarmente impegnati nella costruzione dell’immaginario legato alle istanze rivoluzionarie del periodo, con riferimento per esempio al nome di Joseph Chinard, noto anche a Roma per le sue sculture riprese dall’antico”.

Anche nel Settecento come oggi, la figura del console nella sua città fu letta e interpretata nello stile e nella cultura contemporanea dell’epoca.

 

IL CONSOLE, I DUCHI D’ESTE E IL CARDUCCI NEI SECOLI – Per il resto, ripetutamente e occasionalmente nei secoli, Reggio Emilia si è occupata del suo fondatore. Memorabile, ricorda la stessa Farioli, la citazione di Giosuè Carducci nel celebre discorso del 1897 in occasione del primo centenario del Tricolore: “Reggio animosa e leggiadra, questa figlia del console Marco Emilio Lepido e madre a Ludovico Ariosto”.

Particolare attenzione fu riservata al console nel Rinascimento, quando la riscoperta della Classicità e l’ispirazione al mondo antico furono più intense nell’arte e nella cultura.

Una per tutte, forse la più importante ed emblematica, è la vicenda che nel Cinquecento coinvolse l’affermato architetto e scultore Prospero Sogari detto il Clemente – di scuola michelangiolesca, autore fra l’altro di Adamo ed Eva sulla facciata del Duomo, del Gesù che porta la Croce e della Mater Amabilis nella Basilica di San Prospero – e il suo illuminato e facoltoso committente, Gaspare Scaruffi, consulente economico del duca Alfonso II d’Este. Per omaggiare il sovrano in visita a Reggio, lo Scaruffi commissionò al Clemente due statue destinate alla facciata del Palazzo comunale: una di Ercole, il cui nome era fra quelli ricorrenti nella casata ducale, ed una di Marco Emilio Lepido. Entrambe bellissime, le sculture furono ricavate da un enorme blocco di marmo di Carrara, che raggiunse Reggio per via d’acqua: imbarcato nel Tirreno, circumnavigò l’Italia, fu traghettato lungo il Po sino a Ferrara e da qui a Reggio. Della collocazione sulla facciata del Comune non si fece però nulla e le sculture furono sistemate nel cortile del palazzo Scaruffi, sull’attuale via Crispi. Nel Seicento si tentò di venderle al duca Francesco I d’Este, raffinato cultore d’arte e autore di numerose sottrazioni al patrimonio reggiano, per la Reggia di Sassuolo, ma l’affare non andò in porto. Infine, nel 1724 l’Ercole e il Marco Emilio Lepido rinascimentali furono lasciati in eredità da Claudia Prati Scaruffi al duca Rinaldo d’Este e furono collocate all’ingresso grandioso del Palazzo Ducale di Modena, dove ancora oggi si possono ammirare.