E’ stata approvata la delibera della giunta comunale – dopo un passaggio in commissione – che ha stabilito la denominazione di due nuove località sul territorio di Scandiano, anche a sostegno della tipicità enologica dei luoghi in oggetto. Il regolamento di attuazione del nuovo codice della strada prevede di delimitare una zona di particolare interesse territoriale: l’amministrazione ha dunque individuato due nuove località, denominandole rispettivamente Spergola e Lambrusco.

La prima si riferisce alla zona compresa tra via Bosco del Fracasso – via del Tesoro, collocate tra le frazioni di Bosco e Pratissolo, un’area vocata da secoli alla coltivazione della vite autoctona spergola dalla quale si produce anche vino bianco “Colli di Scandiano e Canossa”, prodotto tipico tutelato con denominazione di origine controllata, e la stessa Spergola, vino al quale è stata attribuita la denominazione comunale.

La seconda località – che verrà nominata Lambrusco – si colloca nella zona compresa tra via Brolo e via Pedemontana, tra le frazioni di Chiozza e San Ruffino,  da secoli vocata alla coltivazione delle viti di lambrusco.

La denominazione delle due nuove località si colloca nel percorso di valorizzazione enogastronomica avviato dall’amministrazione di Scandiano, che ha visto la promozione di prodotti tipici e a km0 e dell’ambito enologico locale attraverso varie azioni e interventi, come l’istituzione della Compagnia della Spergola assieme alle 4 cantine del territorio (Casali, Bertolani Alfredo, Arceto, Aljano), la realizzazione del Festival della Spergola e di rassegne rivolte al grande pubblico come Calici in Rocca.

“La denominazione di queste due nuove località – ha ribadito Matteo Nasciuti, assessore alla promozione del territorio – intende attuare le disposizioni del nuovo regolamento del codice della strada, e al contempo valorizza i territori interessati, restituendo loro nel nome e nell’identità una valorizzazione storica, che ne connota le peculiarità territoriali. Entrambe le zone sono da sempre protagoniste nella produzione enologica locale con vitigni tipici del nostro territorio: Lambrusco e Spergola sono nomi comuni e frequenti nella tradizione agricola locale, che non si è mai interrotta, e anche oggi è protagonista di un importante settore economico. Per questa denominazione abbiamo preso spunto dalle azioni di valorizzazione messe in campo dal comune di Monteveglio (BO), che ha denominato Pignoletto una propria località, favorendo in questo modo un’ azione di tutela e promozione territoriale”.

Spergola e Lambrusco: le attestazioni nella storia

Le attestazioni intorno alle uve di Spergola e di Lambrusco ci restituiscono l’immagine di una pratica vitivinicola molto lontana nel tempo. Spergola è un’uva specifica, Lambrusco è invece il nome di un gruppo di vitigni di matrice comune, tra loro simili ma non identici. Partendo dalla Spergola, segnaliamo che solo recentemente essa è stata censita e così riprodotta per scongiurarne l’estinzione, e questo nonostante la sua diffusione. Le attestazioni che la riguardano, invero, tracciano un profilo storico di tutto rispetto: la prima è quella che riguarda Matilde di Canossa che durante una delle sue manovre diplomatiche ne fece omaggio nientemeno che a Papa Gregorio VII. Successivamente, fondamentale la testimonianza riportata da Bianca Capello, moglie di Francesco I de’ Medici, Granduchessa di Toscana, che nelle sue memorie di viaggio cita il “buon vino di Scandiano fresco e frizzante”, Anno Domini 1580. Nel 1597, invece, è la volta di Andrea Bacci che menziona la produzione di vini pregevoli, profumati e frizzanti. Nel 1644 il marchese Vincenzo Tanara ne fa menzione battezzando l’uva coi nomi di Pomoria o Pellegrina mentre Giambattista Venturi, nel 1822, analizza in modo sistematico le tecniche di produzione del vino prodotto nel Comune di Scandiano e sebbene esso non avesse ancora acquisito il nome che oggi conosciamo, sappiamo che si trattava dello stesso vino che Claudio Dalla Fossa indica nel 1811 col nome di Spergolina, confermato dal fatto che poco dopo, precisamente nel 1839, il conte Giorgio Gallesio ne documenta addirittura due tipologie, una Spargolina ”normale” e un’altra “molle”. All’inizio del XIX secolo,  invece, Filippo Re parla dei vini spumanti e liquorosi della zona nell’ambito di una trattazione in cui si promuove l’importanza di vendemmiare l’uva ben matura e di fare attenzione ai travasi per preservare l’aroma e il “Gaz” interno al vino. A queste testimonianze, sempre lusinghiere, si associa quella di Antonio Claudio De Valery, bibliotecario del re di Francia, che nel 1842 nella guida redatta per i viaggiatori cita proprio il “vin blanc sucrè de Scandiano”. In epoca a noi più recente, i Vini dei Colli di Scandiano e di Canossa trovarono la loro tutela e valorizzazione nella Società Enologica Scandianese, che ne definì pure lo stile commerciale segnando la tappa più importante nella storia del vino a Scandiano. La Società Enologica si era infatti formata tra i più importanti proprietari terrieri del luogo e aveva grande importanza, non solo per la storia locale, ma anche perché rappresentava uno dei primi esempi di associazione e di scambio di conoscenze tecnologiche. Essa si prodigò per far conoscere i vini di Scandiano e dette avvio a un’azione promozionale che trovò la sua più alta espressione nella partecipazione alle Esposizioni di Filadelfia e di Parigi, rispettivamente del 1876 e 1878. Nel contempo, gli estimatori di questi vini crescevano e fra le loro fila ci fu perfino il grande Giosuè Carducci, che in una cartolina inviata a Severino Ferrari datata 27 Aprile 1887 scriveva “dai sotterranei della rocca di Scandiano ove sono anche grandi botti di vino bianco e nero”. Oggi l’opera di sensibilizzazione iniziata dalla Società Enologica viene perpetrata con impegno e capacità dal Consorzio Tutela dei Vini dei Colli di Scandiano e di Canossa costituito presso la Camera di Commercio di Reggio Emilia nel 1976.

Anche il Lambrusco, anche se con più elementi dato l’ampio spettro di tipologie e diffusione,  ha goduto nel tempo della testimonianza di personalità di un certo rilievo, e questo anche se la vulgata vuole che sia a Modena che si sono evolute quelle qualità considerate proverbialmente più nobili.

Testimonianze dirette sul Lambrusco, in un passato remoto, ci giungono già a partire da Virgilio, nativo del mantovano, il quale parla proprio dell’esistenza della vitis labrusca nella sua quinta bucolica. Altri scritti di quell’epoca parlano di questo tipo di vite: il “De agri cultura” di Catone, il “De re rustica” di Varrone e il “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio, mentre nel 1305 il bolognese Pietro de’ Crescenzi suggerisce nella sua trattazione di prendere in considerazione l’allevamento della vite labrusca. Nei secoli successivi questa consegue sempre maggiore importanza nelle coltivazioni agronomiche producendo, nelle province di Reggio Emilia e Modena, vini piacevoli, non molto alcolici e profumati fino a quanto nel 1700 circa ebbe luogo l’introduzione di una particolare bottiglia denominata Borgognona, caratterizzata da un vetro resistente e spesso e da un tappo a pressione. Col suo utilizzo il vino poteva preservarsi a lungo, tanto che nel 1867 Francesco Aggazzotti, cronista privilegiato delle vicende dell’aceto balsamico, propone una prima suddivisione delle tipologie prevalenti dei vitigni coltivati: il lambrusco della viola o di Sorbara, il lambrusco Salamino e il lambrusco dai Graspi Rossi dai quali si ricaveranno tutti i vari tipi di Lambrusco, un vino che si avvia a diventare molto apprezzato, anche all’estero, è infatti del 1900 la sua comparsa all’esposizione universale di Parigi, dove viene decorato con medaglia di bronzo e relativa distinzione d’onore.

I Colli di Scandiano offrono oggi un importante punto di vista su questo tipo di vitigno, che trova nel 1971 l’assegnazione della DOC Colli di Scandiano e di Canossa comprendente le due tipologie di Lambrusco Grasparossa e Lambrusco Montericco.