Il Piano sociale e sanitario della Regione Emilia-Romagna sotto la lente d’ingrandimento della Cisl. Il sindacato nella ‘due giorni’ di Cervia (12-13 aprile) ha sezionato, indagato e messo ‘nero su bianco’ le sue osservazioni, che consegnerà alla Regione entro aprile, per migliorare la struttura su cui poggiano tutela della salute e qualità della vita dei cittadini emiliano-romagnoli.

Leonida Grisendi, direttore generale dell’assessorato regionale Salute e Società; Angelo Bergamaschi, responsabile programmazione e sviluppo Sistema servizi sociali della Regione; Sergio Betti, segretario confederale nazionale Cisl hanno portato i necessari apporti esterni alla discussione.
Il piano, secondo la Cisl, rappresenta “un futuro possibile e condivisibile” d’integrazione tra sistema sanitario e servizi sociali e di integrazione efficace ed efficiente tra i diversi soggetti attori nel territorio: istituzioni, terzo settore, oo.ss. “Nel piano precedente (1999-2001) la scommessa era il distretto, quale zona ottimale per rispondere ai bisogni dei cittadini, in questo il punto politico preminente è l’integrazione, che avviene prima di tutto sui livelli culturale ed organizzativo” -osserva Marino Favali della segreteria regionale Cisl-. Dunque anche nei lavori professionali, in quanto “l’integrazione del ‘team work’ non avviene perché si costituisce una nuova figura professionale (direttore integrazione sanitario e sociale)”.

Favali rileva però lo scarto tra progetto e realtà fattuale. Declinandolo per punti: -ad una centralità regionale in campo sanitario corrisponde una galassia municipale, spesso frammentaria, in quello sociale; -la propensione dei Comuni ad associarsi nell’erogazione dei servizi resta volontaria; -l’introduzione di figure professionali-gestionali incentiva il rischio di sanitarizzazione del sociale. Il fondo regionale per la non autosufficienza (frn) rientra nel bilancio della sanità, ma è gestito dal distretto e dunque non può esserlo dal direttore sanitario, che riceve finanziamenti dalle province per coordinare questa integrazione; -in campo sanitario non sono chiari ruoli, compiti ed integrazioni con le altre professionalità del direttore attività socio-sanitaria; -i medici di medicina generale (mmg) sono convenzionati, ma non integrati nel piano.

Sono ancora fuori dalla rete. Non hanno responsabilità gestionali, come nell’assistenza domiciliare per esempio e non sono neppure menzionate le sperimentazioni esistenti di presidi territoriali prossimi al cittadino, in rete ed in grado di rispondere alla domanda di salute nei pre festivi e festivi, così da evitare l’uso improprio del pronto soccorso; integrazione è anche centralizzare il ruolo dei lavoratori dei settori, stabilizzando il rapporto di lavoro e concertando la nuova organizzazione del lavoro. Inoltre, per la Cisl il piano deve contenere azioni di prevenzione sociale a favore dei soggetti più deboli (immigrati, giovani, donne, anziani); una coordinata politica per la famiglia e un piano regionale sulla domiciliarità.

“Così che il piano avvii nella nostra regione uno ‘stato sociale di comunità’, in cui la politica dei servizi abbia al centro il ‘ben essere’ (ed in futuro anche il ‘bel essere’) della persona” –auspica Piero Ragazzini, responsabile della Cisl emiliano-romagnola-. Sostenendo che occorre, come sindacato, “essere preparati a gestire un approccio non economicistico a questi problemi, attraverso la pratica concertativa sull’intero territorio regionale”.
Circa la necessità che la Cisl si attrezzi ad agire dentro un welfare di comunità, cominciando con il far diventare le politiche sociali un azione fondamentale del suo operare quotidiano, insiste il segretario confederale Sergio Betti in chiusura dei lavori. Aperto in Emilia-Romagna (e non solo) un tavolo tecnico politico con la Regione su sociale, sanitario, socio-assistenziale, per Betti “si tratta ora di inserire gli interventi territoriali in una cornice nazionale. I contenuti della legge sull’assistenza (328/’00) –ricorda il sindacalista- sono ora in mano agli enti locali. Vanno ripresi, aumentando le risorse per il fondo sociale nazionale (fsn) ed il finanziamento del fondo nazionale non autosufficienza (fnn), che nel 2008 –incalza il segretario confederale Cisl- deve puntare almeno ad un punto del pil”. Accanto, i livelli essenziali di assistenza (liveas) “devono diventare diritti esigibili per tutti” -ribadisce con forza Betti-. Esortando a “recuperare il welfare nella contrattazione decentrata, perché i bisogni a cui rispondere sono diversificati tra le persone.”, il segretario nazionale conclude: “Il welfare di cittadinanza è un caleidoscopio di domande e risposte a molteplici bisogni, ma dentro un modello organizzato vigente sull’intero territorio nazionale”.