Nell’ambito della Settimana per l’energia
sostenibile dell’Unione europea una conferenza
stampa congiunta Legambiente e Gruppo dei
Verdi/ALE al Parlamento europeo, è stata
organizzata per presentare il dossier degli
ambientalisti italiani sulle preoccupanti
conseguenze del più grave incidente nucleare
della storia.

Le diagnosi sanitarie delle persone visitate, i dati sulla contaminazione del terreno, delle derrate alimentari nonché dei campioni di flora e fauna prelevati ed analizzati non lasciano purtroppo margini di dubbio sulla drammatica situazione esistente nelle zone contaminate e non possono che confermare ulteriormente la necessità di uscire dal nucleare nell’ottica di un energia sostenibile.
Le conseguenze del fall-out nucleare che ebbe
origine per l’esplosione del 4° reattore della centrale ucraina, sono state particolarmente
pesanti per la popolazione e per il territorio
bielorusso, dove maggiore è stata la concentrazione della radioattività che vi si è
riversata, investendo al contrario il 5%
dell’Ucraina e solo marginalmente la Russia (lo
0,6%). La stima riguardo alle sostanze radioattive disperse nell’ambiente al momento della deflagrazione e del successivo incendio è
di oltre la metà dello iodio e del cesio presenti
nel nocciolo, più altri radionuclidi e gas radioattivi pari a una attività di 11 EBq, ovvero un miliardo di miliardi di Bequerel. Purtroppo la situazione a 20 anni di distanza rimane pressoché immutata.

Circa 7 milioni di persone sono ancora esposte al
rischio contaminazione da isotopi a lungo
decadimento; gli effetti ambientali rimangono
pressoché immutati da allora, in termini di
estensione del territorio interessato, mentre
riguardo alle caratteristiche degli elementi
presenti, cominciano ad emergere delle criticità
specifiche, che richiedono maggiori gradi di
approfondimento. Analogamente per quanto riguarda gli effetti sulle conseguenze sanitarie si
pongono quesiti e scenari anche assai mutati da
quelli in origine: con patologie diverse da
quelle tumorali (in special modo alla tiroide)
che colpiscono anche fasce di età superiori a
quella infantile e che pongono l’urgenza di
cominciare a valutare gli effetti non solo e non
più sulla popolazione direttamente o
indirettamente colpita dal fall-out di vent’anni
fa, ma anche sulle generazioni che da quelle
cominciano a discendere. La maggiore fonte di
pericolo arriva dal cibo prodotto nelle aree
colpite dall’esplosione, in cui si registrano
alte quantità di Cesio 137.
Secondo le conclusioni di un gruppo internazionale di oltre 100 scienziati, fino a circa 4.000 persone
potrebbero ancora morire per l’esposizione alle
radiazioni dovute all’incidente. I dai sono contenuti nel rapporto Cernobyl’s Legacy: Health, Environmental and Socio-Economic Impacts, presentato dal Cernobyl Forum.

Legambiente a partire dal 2000 si è fatta
promotrice di diverse campagne di indagine
scientifica in Bielorussia ed in particolare,
attraverso la collaborazione con l’ARPA Emilia
Romagna, è stato realizzato un Progetto di
monitoraggio radiometrico in alcune province
della Regione di Gomel allo scopo di verificare i
livelli di radioattività a cui la popolazione è
tutt’ora esposta; questo progetto è stato
condiviso con l’Ente statale “Centro repubblicano
di controllo radioattivo e monitoraggio” (RCRKM)
di Minsk. In secondo luogo, con la collaborazione
del Policlinico di Modena, l’Azienda Usl 9 di
Grosseto e l’associazione Help in Bielorussia è
stato realizzato il Progetto dell’ambulatorio
mobile, con l’obiettivo di mettere in piedi un
sistema in grado di effettuare interventi di
prevenzione e di diagnosi precoce su tumori e
patologie tiroidee in zone remote.

Secondo Lucia Venturi, Responsabile Scientifico
di Legambiente, “Dalle analisi dei risultati
ottenuti attraverso misure di spettrometria gamma
nei terreni, nei campioni alimentari, ambientali
e nel particolato atmosferico, si è verificato la
persistenza della contaminazione radioattiva
derivante dall’incidente di Cernobyl del 1986 sul
territorio della Bielorussia meridionale, ed i
valori da noi riscontrati confermano quanto
presente nella banca dati RCRKM. Le matrici
alimentari quali latte, patate, carne bovina e
pesce di fiume presentano valori di Cs137
pressoché costanti, indipendentemente dalla zona
di prelievo: infatti, nelle patate si trovano
valori di concentrazione di Cs137 in media pari a
4 Bq/kg, con un massimo rilevato nel villaggio di
Marhlevsc (13 Bq/kg), mentre nel latte e nel
pesce di fiume si mantiene rispettivamente
intorno a 5 Bq/L e 18 Bq/kg; infine nella carne
bovina i valori variano fra 6 e 17 Bq/kg. Per
quanto riguarda la carne di selvaggina, il dato
di Cs137 rilevato conferma il pericolo della
caccia ad animali selvatici che sono tornati a
popolare le zone più contaminate, dopo che i
villaggi sono stati abbandonati dagli abitanti”.

A preoccupare inoltre gli ambientalisti “E’ il
fatto che i governi locali e la comunità internazionale destinano sempre meno risorse,
assistenza e sostegno alle popolazioni duramente
colpite dagli effetti della catastrofe. Vi è anzi
l’intenzione di riallocare persone, attività, colture agricole nei territori ora abbandonati perché pesantemente colpiti dalla nube radioattiva, minimizzando i rischi e le possibili conseguenze”, dichiara Maurizio Gubbiotti, Responsabile del Dipartimento Internazionale di Legambiente.

Per Roberto Rebecchi, Responsabile Cooperazione
di Legambiente Solidarietà “Sono 298.000 i
bambini residenti in zone contaminate della
Bielorussa che avrebbero diritto a progetti di
risanamento sul territorio nazionale o
all’estero, per uno o due mesi all’anno a seconda
del livello di contaminazione del luogo di
residenza. Nell’anno 2005 solo il 18,79% di
questi bambini hanno beneficiato di un soggiorno
all’estero, in questa percentuale sono
quantificate le uscite/ingressi, che comprendono
un numero consistente di bambini che hanno
beneficiato di più soggiorni nell’arco dello
stesso anno e che si ripetono negli anni
successivi. Risulta pertanto evidente quanto sia
elevato il numero di bambini che rimane escluso
da qualsiasi programma di risanamento”.

E’ questo uno dei motivi che a spinto la più
diffusa associazione ambientalista italiana ad
interrompere la decennale campagna di accoglienza dei bambini di Cernobyl in Italia. “Dopo 13 anni e oltre 25.000 bambini ospitati, Legambiente pone fine, a partire da questo anno, al progetto di accoglienza e risanamento in Italia. La nostra volontà – spiega Angelo Gentili, Responsabile del progetto Cernobyl di Legambiente – è quella di dare, da una parte, un forte segnale di discontinuità verso la politica dell’accoglienza in Italia (che presenta lacune e limiti preoccupanti, come ha dimostrato il caso della piccola Maria e dei coniugi di Cogoleto) e,
dall’altra, di continuare nei progetti di
cooperazione, di responsabilizzazione e di
risanamento in loco”.
“Un esempio – prosegue Gentili – sarà proprio il Progetto Rugiada (partito come progetto pilota nell’estate 2003), grazie al quale si sono organizzati soggiorni terapeutici presso il Centro “Nadjezda-Speranza” di Vileika, una cittadina non contaminata. Il centro è costruito e gestito con criteri eco sostenibili e la gestione non è governativa, ma affidata alla collaborazione tra un organizzazione bielorussa e una tedesca. Conclusa la parte sperimentale e testata la validità sia dal punto di vista sanitario che educativo e
pedagogico, ci siamo impegnati nell’accoglienza
presso il Centro di circa 500 bambini provenienti
dalle zone più contaminate e avviare investimenti
di carattere sanitario ed ambientale al centro”.

“La Commissione europea – ha dichiarato la
presidente del gruppo Verdi/ALE al parlamento
europeo Monica Frassoni – afferma che
dall’incidente di Cernobyl ha speso quasi 600
milioni di euro per interventi di aiuto alla
popolazione e di messa in sicurezza del
sarcofago. E’ evidente che nella situazione
attuale questo tipo di impegno vada rafforzato,
puntando soprattutto all’incremento degli aiuti
finanziari per progetti di cooperazione in loco.
Allo stesso tempo la Commissione farebbe bene a
non cedere alle sirene che cantano di un nuovo
rinascimento del nucleare, mascherato da
espressioni come ‘tecnologia a basso carbonio’.
Eventi come quello di Cernobyl devono ricordare a
tutti la pericolosità di questa forma di produzione enrgetica”.
Gli ambientalisti hanno anche protestato davanti
al Parlamento Europeo con striscioni e slogan
contro il nucleare e per chiedere la messa in
sicurezza della centrale di Cernobyl.