Un calo del reddito pari al 36%: tanto ha pesato il Parmigiano Reggiano sulle imprese agricole legate alla trasformazione del ‘re dei formaggi’ a fronte di un incremento dei costi, nel 2004, che ha sfiorato l’8 percento. La crisi congiunturale del settore è diventata strutturale e nella storia di questo formaggio non è mai accaduto che una crisi prolungata venga affrontata dagli allevatori spingendo l’acceleratore sulla produzione.

Più si produce e maggiore è la perdita economica: a fine anno l’incremento produttivo raggiungerà il 4% a cui si dovrà assistere ad una ulteriore discesa delle quotazioni. Sono solo alcuni dati presentati dalla Cia dell’Emilia Romagna l’11 ottobre scorso a Reggio Emilia nel corso di un incontro a cui hanno partecipato oltre 200 allevatori e amministratori pubblici. Hanno partecipato, tra gli altri, il presidente regionale Cia Nazario Battelli ed Enzo Mastrobuoni della Confederazione nazionale.

“Le vie d’uscita da questo periodo nero sono sostanzialmente due – ha detto Ivan Bertolini, vice presidente della Cia Emilia Romagna – ovvero riequilibrare il mercato perché c’è un eccesso di offerta e migliorare la qualità e la distintività del Parmigiano dal Grana padano”.
Limitare la produzione di Parmigiano (“riducendo di almeno il 3% del formaggio immesso sul,mercato nazionale”) e al contempo spingere l’acceleratore sull’export sono le soluzioni proposte dalla Cia e condivise dall’assessore regionale Tiberio Rabboni, intervento all’incontro svolto nella sala convegni del quartiere fieristico reggiano. La Cia ha fatto un’analisi del comparto attingendo spunti da una ricerca condotta da Alberto Grandi, ricercatore dell’Università di Bologna che individua in termini produttivi ed economici alcuni parametri.
“Occorre trasferire il 10% del latte dalla produzione di formaggio all’alimentazione diretta – ha spiegato nella sua relazione Bertolini – e potrebbero essere anche trasferimenti temporanei gestiti dall’Ente di tutela e poi fatti rientrare ‘nel sistema’ in modo graduale quando il mercato si è assestato”.

La recente ‘apertura di credito’ dell’Antitrust, poi, potrebbe permettere il controllo della produzione (provvedimento cassato due anni fa) a quattro noti formaggi, tra cui il Parmigiano, e questo elemento potrebbe portare benefici. Il Consorzio del Parmigiano sta inoltre presentando una proposta al Dicastero agricolo che fissa come tetto produttivo di formaggio l’anno 2004 dove si è prodotto un quantitativo di 3 milioni e 80mila forme oltre alle quote acquistate al 21 ottobre 2005.
“Il mercato fa fatica ad assorbire questi quantitativi”, ha aggiunto in proposito Bertolini. Ma sul settore grava anche il problema del latte ‘in nero’ che sfugge a qualsiasi tipo di controllo e che ancora è di difficile soluzione. “Poi occorre esportare di più – continua – e il formaggio più noto al mondo vende all’estero una quantità che varia dal 13 al 15%: troppo poco, quando gli esperti sostengono che si può raddoppiare questo tetto. Maggior impegno per distinguersi da altri formaggi concorrenti e lotta ai prodotti ‘taroccati’ sono le esortazioni della Cia che indica altre soluzioni.

“Bisogna combattere le irregolarità e ritirare le fascere a chi non rispetta le regole – ha ribadito Bertolini – e ritirare dal mercato il formaggio ‘smarchiato’ destinandolo alla fusione per ottenere un prodotto spalmabile”. Anche il ‘retinato’, ovvero il formaggio che non ha i requisiti qualitativi per diventare Parmigiano, a giudizio della Cia deve seguire canali commerciali diversi, ‘di fascia bassa’.
“ Sul sistema di marchiatura qualche interrogativo ce lo dobbiamo porre”, ha affermato ancora Bertolini, che ha infine affrontato il tema degli Ogm, organismi geneticamente modificati.
“Si decida un piano nazionale sulle proteoleaginose ogm free – ha sottolineato – per dare distintività maggiore alle nostre produzioni”. Intanto sulle difficoltà che sta attraversando l’agricoltura la Cia ha annunciato per le prossime settimane, una iniziativa regionale e nazionale.